Ancora una volta l’Italia evita in extremis che la Commissione europea proponga l’apertura di una procedura d’infrazione sui conti pubblici. Questa volta sarebbe stata particolarmente grave, perché riguardante l’eccesso di debito (anziché di deficit), un caso senza precedenti che avrebbe comportato il rischio di sanzioni, oltre che esporre il Paese sui mercati. Mercati che hanno premiato l’Italia: Piazza Affari chiude a +2,4%, lo spread scende a 199,4 punti, con i rendimenti dei Btp che vanno ai minimi dal 2016.
Ma, ha detto ieri il commissario europeo agli Affari economici, Pierre Moscovici, «l’apertura di una procedura non sarebbe stata un bene né per l’Italia né per l’Europa. E non è mai stato questo l’obiettivo della Commissione. Noi dobbiamo far rispettare delle regole e l’Italia ha preso delle misure sostanziali tali da rendere, in questa fase, la procedura non più necessaria». Restano le preoccupazioni sul 2020, ha aggiunto, ma il governo ha preso formali impegni con una lettera del premier, Giuseppe Conte, e del ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Impegni il cui rispetto, ha sottolineato Moscovici, sarà valutato con «estremo rigore» da questa stessa commissione a ottobre quando, entro il 15, il governo italiano dovrà inviare la manovra per il 2020, e poi dalla nuova commissione, che sarà presieduta dalla tedesca Ursula von der Leyen. Moscovici ha spiegato tutto ciò in una conferenza stampa dopo la riunione della commissione, che ha appunto deciso di proporre alla riunione dell’Ecofin del 9 luglio di non aprire la procedura. Decisione, ha aggiunto il commissario, che verrà certamente approvata.
La chiusura della pratica (almeno per momento) conferma le attese della vigilia. Rispondendo alle domande, Moscovici ha escluso che ci possa essere stato uno scambio tra la partita delle nomine che si è svolta al Consiglio europeo e la decisione di salvare il nostro Paese dalla procedura. Il commissario francese ha sottolineato che si è trattato di una valutazione puramente tecnica, sulla base di «regole chiare». E ha assicurato che su di essa è «pienamente d’accordo» anche il “falco” Valdis Dombrovskis, la cui assenza alla riunione di ieri non è passata inosservata.
L’Italia ha evitato la procedura attraverso una serie di atti: l’assestamento di bilancio, un decreto legge per l’accantonamento dei risparmi sul welfare, una lettera di impegni di Conte e Tria. Con l’assestamento di bilancio il governo ha certificato un miglioramento dei conti pubblici nel 2019 superiore a 6 miliardi, dovuto a maggiori entrate tributarie e contributive per 3,5 miliardi, e a dividendi straordinari per 2,7 miliardi. Con il decreto legge l’esecutivo ha poi accantonato 1,5 miliardi su «quota 100» e «reddito di cittadinanza».
Per ora, comunque, questi 7,6 miliardi di euro realizzano un miglioramento del deficit strutturale per il 2019 di 0,42 punti percentuali, ha evidenziato Moscovici. E il disavanzo in rapporto al Pil scenderà al 2,04%, nonostante la crescita si sia fermata. Infine, nella loro lettera Conte e Tria assicurano che il risanamento continuerà nel 2020. Anche per effetto del “trascinamento”. Per esempio, è ipotizzabile che i risparmi su «quota 100» e «reddito di cittadinanza», che nel 2019 si realizzeranno in 9 mesi perché le misure sono partire ad aprile, l’anno prossimo, in 12 mesi, possano arrivare a 5-6 miliardi. Così come l’ampliamento della base imponibile Iva ha caratteri strutturali. Tutto questo, però, insieme con gli altri impegni presi dal governo, andrà verificato con la legge di Bilancio 2020. Come ha detto Moscovici: «Oggi non è la fine della storia».