C’è sempre un po’ di Pirandello nella politica italiana. Prendiamo l’azzuffata dello scorso week-end sulla lettera di risposta alla Commissione europea sui conti pubblici. I Cinque Stelle hanno chiesto e ottenuto di far sparire dalla missiva il passaggio in cui venivano ipotizzati «tagli al welfare» a partire dal 2020. Dal loro punto di vista avevano tutte le ragioni per protestare: giocando sulle previsioni di una minor spesa per reddito di cittadinanza e anticipo pensionistico, il Tesoro stava promettendo un taglio in via permanente.
L’idea – nata in casa Lega – punta ovviamente a ridimensionare la misura cara al Movimento e mai digerita da Salvini. Resterà negli annali la foto del premier Conte fra i due vice in cui il leghista sventola solo un cartello, quello dedicato a «quota cento». Nei piani del Carroccio la prossima Finanziaria dovrebbe restringere le maglie di un sussidio che ha mescolato obiettivi confliggenti: l’aiuto agli indigenti e il sostegno alla disoccupazione. Sia come sia, l’eliminazione di quell’inciso è stata pura apparenza, utile solo a calmare gli animi.
Per capire quali siano i veri impegni del governo con l’Europa occorre scaricare dal sito del ministero del Tesoro l’allegato rigorosamente in inglese a quella stessa lettera. Si intitola «Relevant factors influencing public debt developments in Italy». Nel secondo capoverso di pagina diciotto c’è la frase che non dovrebbe esserci. «La prosecuzione di un buon andamento delle entrate fiscali e un minor costo derivante dalle nuove politiche del welfare potrebbe creare lo spazio per un miglioramento del deficit, anche su base strutturale. La spesa nel 2019 potrebbe essere inferiore dello 0,2 per cento a quanto previsto dalla Commissione europea a primavera (2,5 per cento)». Il lettore già annoiato non se ne spiaccia, ma occorre fare un’ulteriore precisazione tecnica. A prima vista la frase sembra tale e quale quella riportata nella lettera modificata, in cui il governo si limita a garantire l’accantonamento dei risparmi di quest’anno. Il diavolo come sempre sta nel dettaglio, e il dettaglio in questo caso è l’inciso «anche su base strutturale». In quella parola c’è la promessa di un risparmio di qui in poi da 3,5 miliardi l’anno, guardacaso quel che le regole europee chiedono a chi dovesse essere colpito da una procedura sul debito.
A tutto questo va aggiunta un’altra considerazione: la previsione di ottenere risparmi già quest’anno grazie alla minor spesa per reddito e «quota cento» non è certificata da alcuna stima ufficiale. È una voce che gira nei palazzi, e dai palazzi alle redazioni dei giornali. In realtà nei palazzi di voce ne circola anche un’altra , ovvero che i risparmi nel 2019 arriveranno, ma solo dalla spesa per il reddito di cittadinanza, e per una cifra non superiore ai 500 milioni di euro. Secondo queste stime il costo a consuntivo della legge che ha permesso la pensione anticipata ai sessantaduenni sarà invece un po’ più alta del previsto. Vero? Falso? Così è se vi pare.
Agli atti resta la frase sopracitata del rapporto sui fattori rilevanti. Promettendo una riduzione del saldo strutturale di due decimali, il governo sta di fatto prendendo l’impegno per una manovra correttiva entro l’estate, alla quale dovranno aggiungersi i due miliardi impegnati a gennaio, quando la Commissione ha trattato con l’Italia la revisione del deficit di quest’anno: da 2,4 per cento a 2,04. In totale fanno dunque 5,5 miliardi di minori spese.
Il lettore arrivato fin qui ora si chiederà: come mai di fronte a tanta diligenza la Commissione mette nel mirino i conti italiani? La risposta è più semplice del previsto: l’Unione sta avvertendo l’Italia per gli obiettivi mancati nel 2018 perché è piuttosto in allarme per le promesse future. Perché in quella stessa lettera – quella inviata lo scorso week-end – il governo dice che toccherà la luna con un dito: nessun aumento dell’Iva – che dovrebbe aumentare per coprire le spese di quest’anno -, una tassa piatta generalizzata sui redditi, il deficit sotto controllo. Secondo le stime che può fare qualunque massaia, e tenuto conto delle ipotesi dello stesso governo, si tratterebbe di un ulteriore aumento della spesa da trenta miliardi. Un punto e mezzo di Pil in più che farebbe schizzare il deficit italiano fra il 4 e il 5 per cento. Decisamente troppo per un Paese così indebitato e la crescita inchiodata a zero virgola. A meno di non voler imboccare di corsa l’uscita dalla moneta unica.