C’è un rischio che incombe sull’Italia dopo il 26 maggio. Il voto europeo non sarà solo il momento della verità per gli equilibri all’interno del governo giallo-verde, ma anche per quelli dell’istituzione chiave dell’Unione, la Banca centrale europea. Il 31 ottobre scade il mandato di Mario Draghi, e la battaglia per la successione è aperta. A quella poltrona aspirano almeno in tre: il governatore della Bundesbank Jens Weidmann, il collega francese Francois de Galhau e il finlandese – ed ex commissario europeo – Olli Rehn. A decidere non saranno i curriculum, bensì i rapporti di forza all’interno del Parlamento di Strasburgo e la determinazione dell’asse Merkel-Macron a condizionarli. Dalla scelta del nuovo governatore dipende la permanenza o meno di un italiano nel board dell’istituzione. Roma ha ottime ragioni per sostenere il francese o il tedesco, pochissime per il candidato finlandese. A favore di Rehn si potrebbe stringere il gruppo dei Paesi nordici, sempre più spesso compatti per affrancarsi dall’orbita tedesca. Oltre alla Finlandia stessa, l’Olanda, i tre Paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), appoggiati da chi sta fuori dalla moneta unica ma può dire la sua al tavolo che sceglierà il nuovo capo della Commissione europea: Danimarca e Svezia.
Oggi il comitato esecutivo della Bce è composto da sei persone, Draghi incluso. Francia e Germania sono rappresentate da Benoit Coeuré e Sabine Lautenschlager. Dopo il voto Merkel e Macron tenteranno un accordo per riempire la casella della Commissione e quella della Bce. Non è ancora chiaro se i due riusciranno a imporsi e in quel caso di che nazionalità saranno i due nuovi presidenti. Una cosa è certa: se la scelta per Francoforte cadrà sul tedesco o sul francese, allora uno dei due attuali membri del comitato esecutivo dovrà dimettersi e la poltrona rimasta vacante andrà all’Italia. Se viceversa la scelta dovesse cadere su Rehn o sul governatore di un altro Paese fra i più piccoli (i bookmaker quotano anche l’olandese Knot e l’austriaco Nowotny) allora per l’Italia sarà un guaio. Nei palazzi delle autorità monetarie c’è chi teorizza che l’alleanza fra nordici a favore di un candidato diverso da Weidmann abbia fra i suoi obiettivi anche quello di escludere l’Italia dai piani alti dell’istituzione, almeno fino a quando non scadrà il mandato del lussemburghese Yves Mersch. L’esito della trattativa dipenderà dagli equilibri che usciranno dal voto europeo, e dalla maggioranza antisovranista che si formerà attorno alla nuova Commissione.
C’è però un fatto che è già emerso nelle ultime riunioni dei 19 governatori della zona euro. La forte volontà di Mario Draghi di mantenere una politica monetaria espansiva sta creando malumori fra i governatori del blocco nordico. Durante l’ultima riunione ci sono stati ben due motivi di discussione: sulle stime di crescita dell’area euro, secondo alcuni eccessivamente ottimistiche, e in merito all’introduzione del cosiddetto «tiering». Si tratta di un meccanismo già utilizzato dalla Banca del Giappone che permette alle banche di depositare liquidità presso la Bce a costo zero o quasi: su questo hanno espresso pubblicamente dubbi sia il governatore lituano che l’olandese Knot. La fine dell’era Draghi e del denaro a costo zero potrebbe essere insomma l’innesco di un nuovo scontro Nord-Sud nel continente. E l’Italia ha tutto da perderci.