Il cerchio della Lega, e dunque del governo italiano, si stringe attorno al nome di Giancarlo Giorgetti. Si fanno sempre più alte in queste ore le probabilità che sia il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio l’uomo «forte» dell’esecutivo gialloverde per la Commissione europea. È la leva più alta della quale dispone Matteo Salvini, che sarebbe intenzionato a muoverla per strappare un commissario di peso, comunque “economico”, nella futura squadra di governo a Bruxelles. Della scelta si è parlato ieri mattina in via Bellerio, dove il vicepremier leghista ha riunito lo stato maggiore per una valutazione del ballottaggio e fare il punto in vista del delicato vertice post Europee di ieri sera con il premier Conte e l’altro vice Di Maio. «Non ho nomi, io bado alla sostanza: dovrà esserci qualcuno a difesa degli interessi delle imprese e dei lavoratori italiani», ha tagliato corto il ministro dell’Interno quando gli è stato chiesto appunto dell’opzione Giorgetti. Non smentendola, di fatto. Sebbene in circolo ci siano ancora le alternative che portano al ministro della Famiglia Lorenzo Fontana e a quelle meno probabili dei governatori Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. «Io commissario? Non ci ho mai pensato, non è una cosa di attualità», si è smarcato anche lo stesso Giorgetti a margine di un evento a Palazzo Chigi con gli atleti della Federazione sport invernali (sua la delega allo Sport).
Dietro le dichiarazioni di facciata, la disponibilità del numero due della Legasarebbe maturata anche sulla scia della stanchezza di fondo dopo un anno di governo vissuto da bersaglio quotidiano degli attacchi alleati. Ma a risultare determinante sarebbe il via libera dello stesso Salvini, con molta probabilità convinto a questo punto – ed è la preoccupazione maggiore tra i 5 stelle – che l’esecutivo alla fine potrebbe non avere lunga vita. A prescindere dal tentativo di rilancio di queste ore.
In ogni caso, strappare quella pedina di prestigio sarà complicatissimo per l’Italia. Se ci fosse stato qualche dubbio, ieri mattina il candidato Ppe alla presidenza della Commissione europea, Manfred Weber, lo ha fatto capire in maniera ancora più netta nel colloquio avuto con il premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Dove l’uomo forte dei popolari della Merkel ha bussato anche alla porta del governo sovranista per ottenere un sostegno nella sua corsa alla Presidenza. Conte ha spiegato che il suo esecutivo non ha «nulla in contrario», né riserve particolari sulla sua persona. Ma «sarà una partita a incastro». Certo, la posizione isolata che sta assumendo il nostro Paese in materia finanziaria, la minaccia di violazione dei vincoli e il rischio di incorrere nella procedura di infrazione, rischia di non aiutare la causa italiana, avrebbe fatto notare l’ex capogruppo Ppe nell’Europarlamento. Soprattutto nella ricerca di un posto al sole in Commissione. Tanto più se, come ha messo in chiaro il presidente Conte, il governo punta a cariche quali Concorrenza, Commercio o Industria. L’Italia – ha rimarcato il premier – non accetterà un portafoglio meno pesante dei tre indicati. Ancora, il governo è interessato a sapere dai suoi interlocutori europei «non solo quello che potrà ottenere, ma anche quello che potrà evitare». Ovvero, tenterà di dire la propria anche sulle cariche più alte, a cominciare dalla presidenza della Bce, che in autunno sarà lasciata da Mario Draghi: Roma non vorrebbe vederla assegnata a un governatore “ostile”. Al netto di tutte le rassicurazioni fornite al candidato tedesco, Conte si tiene aperti tutti i canali e tutte le soluzioni diplomatiche a disposizione. Non a caso, il premier punta a incontrare in un bilaterale anche informale il presidente francese Emmanuel Macron nel vertice Euromediterraneo di venerdì a Malta. E Macron non è affatto un sostenitore di Weber alla Commissione.