C’è chi si attrezza per resistere alle cosiddette disruptions da anni ormai, ben prima della pandemia o della guerra. E che non si spaventa quindi nemmeno ora, di fronte a delle difficoltà sicuramente senza precedenti, vissute però come un’ulteriore occasione per rafforzarsi. È il caso della padovana Carel, tra i leader nella produzione di componenti e soluzioni per raggiungere alta efficienza energetica nel condizionamento dell’aria e nella refrigerazione. E, peraltro, azienda Champion dell’imprenditoria italiana. L’amministratore delegato, Francesco Nalini, racconta che ormai “da parecchi anni (circa dal 2005) seguiamo una strategia di multilocalizzazione. Cioè abbiamo aperto stabilimenti nostri al 100% nei principali continenti: Cina, Stati Uniti, Brasile, e il più recente nel 2015 in Croazia”. Ma non, come succede in molti casi, con l’intento di delocalizzare.
Le sedi all’estero rispondono piuttosto all’esigenza di produrre in quei Paesi per poi vendere proprio lì: “Bisogna cambiare approccio. Non si può più pensare di produrre in Cina perché costa meno, e poi vendere in Europa”. Questo, ovviamente, a causa delle difficoltà esasperate dalla pandemia prima e dalla guerra poi, ma che in realtà non erano sconosciute a un gruppo come Carel, che contando sedi in molti Paesi del mondo aveva già avuto a che fare con più di un disastro naturale e con la guerra dei dazi fra Cina e Usa, intuendo già quel rischio di decoupling dei mercati di cui oggi si parla tanto. “C’è da dire che ora la regionalizzazione dei mercati è sempre maggiore, ed è un bene avere avviato questo processo in anticipo”, conferma infatti Nalini.
Ma allo stesso tempo, in un momento così delicato, in cui si rischia di vedere gli stabilimenti bloccati in alcuni Paesi, causa lockdown o conflitto, è indispensabile una buona dose di flessibilità. Che si concretizza, per Nalini, nella duplicazione delle linee produttive: “Quando in Cina lo stabilimento è stato bloccato per il Covid, abbiamo riassorbito l’impatto spostando la produzione in Europa. Quando la chiusura ha riguardato l’Italia, abbiamo invece dirottato la produzione in Croazia e Cina”. E nel caso in cui servisse supporto tecnico per la messa in funzione di nuovi prototipi in qualche parte del mondo, “non potendo far viaggiare i nostri tecnici, abbiamo implementato le tecnologie di realtà aumentata, per seguire passo passo il personale degli stabilimenti lontani migliaia di chilometri”.
E, come se gli elementi citati non bastassero a comporre un quadro se non altro sfidante, c’è un ulteriore fattore da considerare, che per l’azienda sembra essere in realtà il più pesante di tutti: lo shortage di componenti. “Qui la nostra strategia si è evoluta. Abbiamo dovuto lavorare sulla supply chain per moltiplicare le fonti di fornitura di uno stesso componente”. Ma quando a mancare sono i microprocessori, la faccenda si fa particolarmente complicata, dato che cambiarli significa dover riprogettare l’intero sistema di controllo su cui l’azienda sta lavorando. “A partire dai primi mesi del 2021 abbiamo riprogettato molti dei nostri prodotti perché prevedessero l’utilizzo di microprocessori alternativi anche provenienti da Paesi diversi”. Questo permette a Carel di diventare sempre più “resiliente”, come la definisce Nalini, nei confronti di una problematica che non è affatto rientrata negli ultimi tempi: “Ci aspettavamo si risolvesse molto prima, e invece prosegue. Di buono c’è che noi, nel frattempo, ci siamo attrezzati, e quindi giorno dopo giorno possiamo reagire sempre meglio”.
Ovviamente la stessa possibilità di “attrezzarsi” è garantita dall’avere una struttura finanziaria solida. “Avevamo molta cassa e liquidità, cosa che ci ha permesso di fare gli investimenti necessari. Abbiamo chiuso il 2021 con un indebitamento ampiamente sotto l’ebitda e una buona generazione di cassa. C’è poi da dire che per noi gli investimenti in capacità produttiva non sono eccessivamente onerosi, anzi costruire un nuovo stabilimento è relativamente poco costoso”. Però, è ovvio, la dimensione dell’azienda gioca un ruolo fondamentale. Gli ultimi dati del trimestre gennaio-marzo 2022, diffusi solo qualche giorno fa, mostrano un fatturato a 128,95 milioni di euro, in aumento del 32,1% anno su anno. In aumento anche il margine operativo lordo, che è salito dai 22 milioni del primo trimestre 2021 a 27,2 milioni di euro (+23,8%). L’utile netto è salito da 13,34 milioni a 16,38 milioni di euro, quindi del 23%. Mentre l’indebitamento netto è salito a 64,9 milioni rispetto ai 57,8 milioni di inizio anno, in seguito all’incremento strategico di 9,4 milioni delle scorte di materie prime. “Avere scorte molto tirate è davvero rischioso in questo momento. La contromisura da adottare è appunto aumentarle, per mettersi al riparo da nuove disruptions”.
Guardando in avanti, Nalini afferma che non ci saranno rallentamenti per l’azienda, da nessun punto di vista. “Quello che in molti si aspettano, e ragionevolmente, è che in questo momento le imprese cerchino di indirizzare i propri investimenti nella crescita organica, e decisamente meno sull’M&A. Probabilmente molti faranno così, ma non è il nostro caso. Andremo avanti anche sull’M&A perché la nostra solidità patrimoniale e la nostra generazione di cassa ci permettono di fare entrambe le cose”.