Dovrebbe finire così. Mediobanca cancellerà dal suo statuto la prescrizione — alquanto bizantina ma legata al mondo dei “debitori di riferimento”, quando tre grandi banche commerciali ne blindavano l’azionariato — per cui l’amministratore delegato e il dg vanno scelti tra dirigenti assunti da almeno tre anni. A ottobre, al rinnovo del cda, i nuovi “azionisti di riferimento”, ossia i fondi comuni padroni del 40% circa delle quote, voteranno coesi la lista di consiglieri proposta dal cda uscente, compreso l’ad Alberto Nagel — e salvo sorprese pure il presidente Renato Pagliaro — che non hanno mai chiesto un euro ai soci e anzi da anni li remunerano ai massimi tra le banche italiane.
Leonardo Del Vecchio, da settembre nuovo primo azionista con il 9,9% e ancora incline ad avvicinarsi al 20% entro l’assemblea (ma solo dopo che avrà chiesto e ottenuto l’ok della Bce vigilante) farà buon viso a questo gioco: per preservare l’investimento, già in plusvalenza per qualche centinaio di milioni, e perché così si vuole a Francoforte e a Roma, a presidio della stabilità del primo polo finanziario nostrano (Mediobanca è la prima forza delle Assicurazioni Generali con il 13%). Stabilità che il patron di Luxottica ha molto a cuore, specie se declinata in rima con “italianità”: concetto che negli incontri di queste settimane con Nagel, con l’ad di Generali Philippe Donnet e con i rappresentanti delle istituzioni l’imprenditore avrebbe espresso ripetutamente.
Di quanto sopra ieri Nagel ha offerto una sintesi agli investitori in ascolto della presentazione della semestrale Mediobanca: «L’ultima cosa che vuole Delfin (holding lussemburghese con cui Del Vecchio è entrato nel capitale, ndr ) è che Mediobanca perda valore o venga vista come una storia non più allineata ai soggetti migliori del mercato». Il banchiere, in sella dal 2003 al posto di Vincenzo Maranghi, ha dettagliato i lavori in corso perché anche la governance sia “allineata” ai soggetti migliori, senza vincoli di casacca per i capiazienda. «Col venir meno di importanti elementi di conflitto d’interesse mi aspetto che il cda faccia un percorso per rendere lo statuto più in linea con la prassi di mercato, e lavori a proporre una lista ancora più indipendente e adeguata a gestire il business». I due cavilli nel mirino furono inseriti nel 2007, per arginare lo strapotere frutto della fusione Unicredit-Capitalia, che riuniva sotto un solo socio il 18% di Mediobanca. La vendita del residuo 8,4% di Unicredit, tre mesi fa, pone le premesse per guardare avanti. E citando la mossa di Mediolanum, che ha tolto dai beni “strategici” il 3,28% di Mediobanca legandolo all’avvento di Del Vecchio come socio forte, Nagel ha aggiunto: «Questo tipo di preoccupazione ce l’hanno rivolta anche buona parte degli investitori istituzionali. Ma credo che alcune di tali preoccupazioni possano essere riassorbite o venir meno».
I conti a fine dicembre hanno confermato lo stato di forma dell’istituto, grazie al buon trimestre borsistico di fine 2019 che ha prodotto più commissioni da trading e sui grandi patrimoni, e all’ulteriore riduzione degli accantonamenti sui pochi crediti deteriorati. Nel trimestre l’utile netto è stato di 197 milioni, contro i 205 di un anno prima ma i 175 attesi dal mercato. In Borsa però l’azione ha perso l’1,59%, forse per realizzi giunti dopo sedute in crescita o perché qualche investitore ha “riscoperto” le banche commerciali italiane, più forti ieri.