È tutto alla luce del sole e nessuno ha nulla da ridire. Eppure la maxi cessione di “sofferenze” (i crediti inesigibili) del Monte dei Paschi, la più grande mai fatta in Europa, è un groviglio di interessi in cui è chiaro solo chi perde: la banca, costretta alla svendita dalla Bce. E chi fa l’affare (che può valere circa 200 milioni): Quaestio, gestore del fondo Atlante II, e i suoi top manager capitanati dall’economista Alessandro Penati.
Tra un comizio e l’altro nel collegio senese, dove è candidato per il Pd, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, azionista di controllo dell’istituto passato sotto lo Stato, potrebbe chiarire le anomalie di questa storia che ha creato malumori anche tra i suoi più stretti collaboratori. Atlante è il fondo partecipato da diverse banche, tra cui Intesa e Unicredit, fondazioni, ma anche dalle pubbliche Cassa depositi e prestiti e Poste, messo in piedi in fretta dal governo nella primavera 2016 per salvare le banche italiane creando un mercato delle sofferenze a prezzi non da svendita. Appena nato, però, Quaestio ha buttato 3,5 miliardi nel pozzo nero delle banche venete: soldi bruciati. Con quelli rimasti, più altri versati dalla Sga del vecchio Banco di Napoli (di proprietà del Tesoro, cioè Padoan) ha creato Atlante II: stesso obiettivo, meno risorse. Quaestio Sgr è controllata da una holding lussemburghese di cui il 32% è in mano ai top manager della stessa Sgr (Penati e gli ad Paolo Petrignani e Massimo Tosato) e il 27% alla fondazione Cariplo di Giuseppe Guzzetti, grande sponsor dell’operazione.
Nell’operazione sulle banche popolari venete, ispirata dal Tesoro, Penati ha perso molto. E ha avuto la possibilità di rifarsi proprio grazie al Tesoro, nuovo azionista di controllo di Mps. A dicembre 2016 la banca fallisce il tentativo di aumento di capitale a cura di Jp Morgan e la Bce impone una ricapitalizzazione da 8,8 miliardi che innesca il soccorso statale. Anche in questo caso l’operazione è subordinata alla maxi cessione di sofferenze, 26 miliardi, che Francoforte impone di chiudere in pochi mesi. Già di per sé un diktat del genere significa svendere, ma con l’ingresso dello Stato entra in campo anche la Direzione concorrenza della Commissione Ue che vigila sugli aiuti di Stato. Le regole comunitarie vietano di usare soldi pubblici per coprire perdite future attese. In quel momento il patrimonio di vigilanza (Cet1) di Mps può assorbire un massimo di perdite pari alla cessione dei 26 miliardi di sofferenze a un prezzo del 21% del loro valore nominale messo a bilancio. Che diviene subito il prezzo massimo che Mps può spuntare sul mercato: una posizione perdente in partenza.
Il 28 maggio 2017 Mps concede una trattativa in esclusiva a Quaestio Sgr e ai fondi Usa Elliot e Fortress. Gli ultimi due offrono meno del 20%, e si sfilano. A quel punto iniziano le pressioni su Quaestio affinché accetti il 21%, un prezzo più alto della media di mercato ma sufficiente per garantire un rendimento adeguato a un investitore non aggressivo. Quaestio accetta e avvia una selezione degli “special servicer”, cioè di chi farà il recupero dei crediti, ma chiede e ottiene anche la cessione della piattaforma di Mps per la gestione delle sofferenze (“Juliett”). Nel novembre 2016 la banca aveva chiuso un accordo per cederla a Cerved per 105 milioni, con l’impegno di farle gestire il 33% dello stock di sofferenze in vendita più l’80% che emergeranno in Mps nei successivi 10 anni. Saltato l’aumento targato Jp Morgan, l’affare sfuma. Ad agosto 2017Juliette viene così ceduta a una joint venture tra Cerved e Quaestio Holding Sa (che ne ha il 50,1%), la controllante lussemburghese di Quaestio Sgr, il cui “senior management” ha il 32%. Il prezzo è di 52 milioni, più basso del precedente perché l’accordo prevede solo la gestione dei futuri flussi di sofferenze. Poi però Quaestio Sgr affida a Juliette (ribattezzata “Sirio”) il 50% dei 26 miliardi di sofferenze revocando alcune quote affidate ad altri servicer (un altro 35% va a Dobank, investitore di Atlante).
Molti osservatori hanno storto il naso. In questo modo le commissioni che Sirio incasserà per la gestione delle sofferenze, stimate in circa 500 milioni di euro, andranno per metà agli azionisti di Quaestio Sgr che attraverso Atlante II ha rilevato le sofferenze. Insomma il gestore del fondo da un lato dovrebbe verificare le performance di recupero dei crediti e dall’altro gode dei profitti fatti dal “servicer” che fa capo a lui, in un potenziale conflitto d’interessi a danno dei quotisti di Atlante II, su cui pesano le commissioni. Cerved potrà poi rilevare la quota di Quaestio nella Jv nel 2021 a un prezzo predefinito. Nei mesi scorsi l’ex ministro Paolo Cirino Pomicino ha inviato una lettera al Direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via, chiedendo spiegazioni sulla procedura, ma non ha ottenuto risposta. La Banca d’Italia, per bocca del governatore Ignazio Visco, ha risposto che “i potenziali conflitti d’interesse (…) sono stati sottoposti agli appositi presidi previsti dalle norme”. Fonti interne a Quaestio spiegano che le performance di Sirio sono fissate da contratti vigilati da advisor indipendenti scelti dal comitato investitori di Atlante II che possono essere rescissi.
Chi rischia di perderci è invece Mps. La cessione delle sofferenze avviene attraverso una “cartolarizzazione”, i crediti vengono cioè trasformati in titoli. Quelli meno pregiati (detti mezzanine e junior) vengono rilevati da Atlante; quelli di maggior qualità (senior) potranno invece beneficiare della Garanzia pubblica e rimarranno in pancia a Mps. La loro quantità è data dalla qualità del servicer scelto, valutato dalle agenzie di rating. Sirio non ha buone performance e quindi la banca rischia un’ulteriore perdita. Timori confermati al Fatto da autorevoli fonti del Tesoro.