Il «corpaccione» del Movimento è spesso silenzioso, vive sotterraneamente, lontano dalla prima linea di Luigi Di Maio e soci, ma anche distante da quella manciata di «dissidenti» che osa distanziarsi dalla «linea». Ciò non toglie che la «maggioranza silenziosa» dei 5 Stelle viva un momento difficile, anche perché i peones sono pur sempre rappresentanti del territorio. E il «territorio», nella sua declinazione elettorale, non ha dato soddisfazione in Abruzzo e rischia di non darne neanche nella prossima tornata in Sardegna. In questo modo si giustifica l’attivismo di Luigi Di Maio. Che discute con i suoi fedelissimi su un nuovo possibile assetto del Movimento. E arriva quasi a litigare con Davide Casaleggio per difendere la sua idea di rinnovamento, che passa da un nuovo «comitato centrale» e da coordinatori regionali. Il Movimento che si fa partito, o quasi, con la fine del tabù delle alleanze con le liste civiche. Ma non solo: a Casaleggio, Di Maio ha anche chiesto di mettere fine alla logica del doppio mandato, che potrebbe costare cara: man mano che la legislatura avanza, i parlamentari in scadenza potrebbero avere la tentazione di andare in ordine sparso.
Il Movimento vive un momento di confusione. I vertici riflettono sul mini rimpasto: un cambio di qualche ministro per dare nuova linfa. Ma c’è chi teme possa essere letto come un segnale di debolezza. Qualcuno fa il nome, come vice di Di Maio, di Pietro Dettori. Che però è il suo uomo ombra e non ha intenzione di uscire allo scoperto. Si valutano coordinatori regionali per le prossime elezioni: Fabiana Dadone per il Piemonte, Emanuela Corda per la Sardegna.
Segnali di inquietudine arrivano su fronti diversi. Cresce l’insofferenza dei parlamentari per il sistema di rendicontazione, appena ripristinato. In diversi hanno scritto allo staff lamentando la possibile violazione della privacy su Rousseau. Tra questi c’è la deputata Gloria Vizzini: «I documenti da caricare — ha scritto — contengono informazioni sui nostri familiari, sono dati che non intendo condividere con Davide Casaleggio. Restituisco tutto, ma non tocchino la mia privacy».
Il fastidio verso il ruolo ambiguo di Casaleggio è piuttosto diffuso. Il sito americano Wired ha appena rivelato che il figlio del fondatore, solo un esperto di informatica secondo la versione minimizzante di Di Maio, a giugno avrebbe incontrato Steve Bannon, che vuole costruire una rete sovranista e identitaria europea. Altro tassello di una linea politica ondivaga dei 5 Stelle, che nelle ultime settimane ha alternato picchi di estremismo non troppo governativi. A Di Maio e Di Battista viene rimproverato anche il flirt con la fazione più estrema dei gilet gialli. Tesi confermata dalle nuove dichiarazioni del «golpista» Christophe Chalençon a Piazza Pulita su La7: «Abbiamo dei paramilitari pronti a intervenire: anche loro vogliono far cadere il governo».
I dubbi sulla tenuta dei vertici arrivano anche da Roberta Lombardi, che a freddo, lancia una stilettata su Repubblica: «Di Maio non può fare il capo e il vicepremier insieme». Ieri ribadisce: «Di Maio non è Mandrake». Analisi condivisa da Elena Fattori e Paola Nugnes. Che annunciano il sì al processo a Salvini per la Diciotti. La Nugnes non accetta lo strumento del referendum, riesumato da Di Maio: «È una questione complessa, non ci può essere una risposta di pancia». I dissidenti stanno con la pistola puntata contro la dirigenza anche sulla questione controversa della Tav. Troppo identitaria per cedere alla bulimia politica di Matteo Salvini.