Quando Ludwig van Beethoven nacque a Bonn, nel 1770, la famiglia Rossetto festeggiava a Pontelongo, in provincia di Padova, il decimo anniversario di vita dell’azienda di famiglia. E quando, nel 1861, l’Italia venne unificata, erano già cent’anni che il grano veniva macinato nel loro mulino. È attorno a quello che, in oltre 250 anni di storia, si è sviluppata la Molino Rossetto, ancora saldamente radicata nel territorio e nella tradizione,oggi arrivata alla settima generazione. «E ancora nelle mani della nostra famiglia», specifica Chiara Rossetto, amministratore delegato del gruppo con il fratello Paolo. «È una storia fatta di passione e tradizione. E di innovazione, ingrediente indispensabile per far sopravvivere un’azienda così a lungo in un business come quello delle farine».
Innovarsi per Chiara Rossetto significa sapersi reinventare, adeguarsi ai cambiamenti non solo tecnologici, ma anche dei gusti e dello stile di vita dei consumatori finali, sempre più attenti al biologico e sempre più interessati a conoscere l’origine del prodotto. «È da queste considerazioni — racconta — che agli inizi del 2000 abbiamo cominciato a introdurre farine particolari come il kamut e i preparati per pane, focacce, polenta, cambiando anche il confezionamento con dosi più piccole: non più il classico chilo di farina per realizzare quattro ricette, ma un preparato selezionato per creare una torta.Un passo necessario per distinguerci in un mercato saturo in cui gli spazi di crescita sono pochi e in cui la concorrenza si basa su un continuo gioco al ribasso». Gli anni della crisi per Molino Rossetto hanno avuto effetti opposti rispetto al mercato generale. «La recessione ha portato gli italiani a uscire meno, a preparare le cene in casa, riscoprendo anche i piatti della tradizione.
Anche per questo i nostri numeri non hanno risentito particolarmente del calo generale». Numeri che vanno in controtendenza anche ora: a fronte di una flessione del 3,8% del mercato delle farine (che vale complessivamente 217 milioni), Molino Rossetto a fine 2017 ha mantenuto una quota del 3,8%, crescendo dell’1,6% nel mercato dei lieviti. Rispettando sempre l’origine 100% made in Italy. «Noi seminiamo, coltiviamo e lavoriamo il nostro grano in Italia, da sempre» conferma Rossetto che ricorda l’importanza dei mercati esteri sul fatturato: «Al momento è equamente ripartito: il 50% del giro d’affari è generato in Italia, il 50% all’estero. Europa, Stati Uniti Cina e Russia». I prodotti sono destinati sia alle industrie per la lavorazione sia al retail, nei principali store in Italia. «Nel resto del mondo il retail è poco sviluppato — spiega Rossetto — perché non c’è la nostra cultura culinaria». Ma tra le peculiarità di Molino Rossetto non c‘è solo la tradizione. Come ricorda Chiara, l’azienda si è sempre distinta anche sul piano sociale: dalla guerra in Kosovo, durante la quale il Molino mandò derrate alimentari, alla collaborazione con Oxfam, di cui il gruppo è testimonial dal 2015.
*L’Economia, 16 marzo 2018