Prima il clamoroso blitz che ha visto gli americani del fondo Gip (Global Infrstructure Partners) acquisire i treni di Italo e ora la sortita di Atlantia che, dopo lungo penare, ha comunque portato a casa con successo l’integrazione con la spagnola Abertis. L’industria della mobilità è al centro dell’attenzione, il business scommette su un nuovo paradigma dei trasporti capace di non rassegnarsi a rimanere una commodity. E di conseguenza mettersi in condizione di creare valore integrandosi e fornendo un miglior servizio all’utente.
È questo il leit motiv di una stagione che attraverso acquisizioni, consolidamenti, integrazioni punta a dare maggiore efficienza (e redditività) al movimento delle merci e delle persone. Sullo sfondo, per quanto riguarda l’Italia, la ripresa dell’economia reale che nel Nord Italia sta di nuovo intasando di Tir l’autostrada A4 che lo percorre da Torino a Trieste e mostra anche un significativo aumento del load factor dei treni ad alta velocità. Il tutto a riprova di alcuni interessanti mutamenti degli stili di vita: il segmento alto del mercato del lavoro che si unifica a livello di macroaree territoriali (Milano-Bologna-Torino ma anche Bologna-Firenze e Roma-Napoli), una maggiore tendenza agli spostamenti delle persone anche indotta dai rapporti che si saldano tramite i social network.
Tutte queste considerazioni possono indurre a qualche ulteriore rimpianto per l’esito della vicenda Italo e per la mancanza di capitali coraggiosi che potessero supportare un player nazionale in più di questa nuova industria della mobilità. Nel campo dell’alta velocità però sono state la concorrenza e la buona regolazione economica per la prima volta a fare la differenza a favore del mercato italiano, diventato più interessante di altri perché ha liberalizzato in anticipo e ha allargato l’offerta. Più complesso è il quadro che si presenta a proposito di concessioni autostradali considerate dai critici l’epicentro di una sorta di «capitalismo delle tariffe», molto interessato a condizionare le decisioni delle autorità di governo e di regolazione e poco dotato di spirito imprenditoriale.
Player globali
Con la mossa che ha portato Atlantia a Madrid a mettere in piedi una combinazione societaria con Acs e Hochtief — che punta a occupare la leadership mondiale delle autostrade a pagamento — e nello stesso tempo a creare un circolo virtuoso tra costruttori e concessionarie (diverso dai pasticci italiani, si spera), può iniziare una nuova stagione dell’industria nazionale della mobilità. Le principali concessioni italiane della società scadono nel 2038 e sono state rilasciate dal governo Prodi nel 2007 e avrebbero potuto rappresentare per Atlantia una comoda rendita di posizione. Invece senza rinunciare a niente l’amministratore delegato Giovanni Castellucci, supportato dal suo principale azionista Gilberto Benetton, con l’operazione Abertis si è accollato una quota di rischio imprenditoriale con l’obiettivo ambizioso di strappare la leadership mondiale ai francesi di Vinci e consolidarla con una serie di scelte di business innovative. Le concessioni che sono in pancia ad Abertis (in Francia, in Sudamerica e in Spagna) non hanno la stessa durata di quelle italiane e di conseguenza l’idea che presiede la formazione della nuova Abertis è quella di rivedere il modello di business puntando a costruire, laddove è possibile, le autostrade cittadine che nelle megalopoli permettono di sbloccare i flussi di traffico.
Ora la logistica
Non va dimenticato poi in questa rivisitazione del modo di fare industria della mobilità l’importanza che ha per Atlantia la tecnologia Telepass e le prospettive che apre nel campo dei sistemi elettronici di pagamento (della mobilità come pedaggi, benzina, parcheggi ma non solo). Italo e Abertis sono dunque due episodi dai quali sicuramente apprendere, ma quella che manca in Italia per tentare di chiudere il cerchio, in materia di mobilità, è una riflessione sulla logistica. La cura del ferro si è rivelata un’indicazione debole a fronte di almeno due tendenze dell’economia reale che stanno esaltando il trasporto su gomma ovvero la scomposizione delle cattedrali della produzione nelle moderne filiere e lo straordinario successo dell’e-commerce. Si tratterebbe di riprendere a pensare, dunque, in termini di intermodalità e ancora una volta la prima parola-chiave è integrazione. La seconda è concorrenza.