Dai missili all’economia. Gli Stati Uniti sono pronti a «punire» la Russia con altre sanzioni per l’appoggio al regime di Bashar al Assad. Lo ha annunciato ieri, parlando con Fox News l’ambasciatrice all’Onu, Nikki Haley: «Stanno arrivando nuove sanzioni contro Mosca. Il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin le illustrerà probabilmente lunedì (oggi per chi legge, ndr ) e colpiranno direttamente quelle società fornitrici di equipaggiamenti e attrezzature collegate all’uso di armi chimiche da parte di Assad». La portavoce del ministro degli esteri russo, Maria Zakarova, ha commentato: «Mossa senza senso. Gli Stati Uniti vogliono punire la Russia per il semplice fatto di essere un attore globale». Ma la reazione sarà anche concreta: il Parlamento di Mosca limiterà le importazioni da Usa, Gran Bretagna e Francia di una serie di prodotti agricoli e alimentari, compresi vini, liquori e tabacco.
È la prima scia dello strike condotto dai tre alleati occidentali contro la Siria, venerdì 13 aprile, come reazione alla strage chimica di Douma del 7 aprile, attribuita ad Assad.
Gli americani preparano, dunque, la terza stangata alla Russia in un mese, dopo le misure adottate il 15 marzo e poi la stretta sugli oligarchi del 6 aprile. Per inciso va notato come Washington aggiunga questo fronte di scontro economico, alla battaglia dei dazi anti Cina. Vedremo oggi come reagiranno i mercati. Per il momento, invece, si vedono spazi ancora ristretti per la politica. I leader occidentali, a cominciare dal presidente francese Emmanuel Macron, giustificano la «legittimità dell’intervento in Siria». Vladimir Putin, invece, avverte: «Se queste azioni commesse in violazione della Carta dell’Onu continueranno, porteranno inevitabilmente al caos nelle relazioni internazionali». Il presidente russo si è sentito per telefono con il presidente iraniano Hassan Rouhani, rinsaldando la cooperazione in Siria.
Trump si è un po’ defilato, limitandosi a un tweet per difendere la scelta di usare lo slogan «Missione compiuta», nonostante richiamasse la vuota promessa di George W. Bush sulla fine della guerra in Iraq, il 1 maggio 2003.
È allora proprio Macron a prendere l’iniziativa, a proporsi come pontiere. In una lunga intervista televisiva trasmessa ieri sera, il presidente francese annuncia il suo obiettivo: «Mettere intorno allo stesso tavolo tutti gli interlocutori della crisi siriana, Stati Uniti, Russia, Turchia e pure la componente sciita (cioè l’Iran, ndr )». Un progetto ambizioso, forse troppo, che sarà messo subito alla prova: questa settimana prosegue il confronto all’interno del Consiglio di Sicurezza, dove russi e americani finora hanno dato vita a una rissa permanente.
Macron si è auto attribuito un ruolo titanico nella crisi siriana, appena attenuato dall’uso del plurale: «Siamo noi che abbiamo convinto Trump a restare in Siria; siamo noi che abbiamo avvertito i russi; siamo noi che abbiamo identificato obiettivi circoscritti». Parole che sicuramente non piaceranno soprattutto al Segretario alla Difesa americano, James Mattis, il regista militare e politico della notte dei missili.