Antonio Misiani replica con toni dialoganti nella forma, ma determinati nella sostanza, al cannoneggiamento della manovra finanziaria. Smentisce che rappresenti il «festival delle tasse», invita gli industriali a valorizzare le misure a loro favore e riafferma la lealtà del Pd al governo e a Conte. «Ho comunque indossato l’elmetto», dice con una battuta distensiva il vice ministro dell’Economia mentre sta rientrando a Bergamo, per poi aggiungere: «Di manovre ne ho viste tante e sono sempre momenti complicati, con richieste di ogni genere e votazioni rischiose. Niente di nuovo sotto il sole».
Però come pensate di uscire dal pasticcio dell’ex Ilva di Taranto?
«Bisogna tenere i nervi saldi e costringere Mittal a sedersi al tavolo della trattativa. La quantità di esuberi annunciata, 5 mila, è assolutamente inaccettabile. Se c’è una crisi industriale, va affrontata con gli strumenti disponibili a partire dalla Cassa integrazione».
Ma è credibile il disimpegno della società dovuto alla cancellazione dello scudo penale?
«Più passa il tempo e più si ha la conferma che la decisione di Mittal sia in realtà conseguenza di una difficoltà di mercato: nel piano industriale aveva programmato 6 milioni di tonnellate e oggi ne produce solo 4 e mezzo. Fra tutte le circa 170 crisi aperte, questa è la più grave e non riguarda solo Taranto, perché ha ricadute su tutta l’industria italiana: pensiamo all’automotive del Centro-Nord e ai tanti settori che dipendono dalla capacità produttiva dell’ex Ilva».
Le numerose critiche possono essere riassunte in una: questa è una manovra delle tasse.
«Io sto ai numeri. La legge di bilancio annulla 23 miliardi di aumento dell’Iva e, con la riduzione del cuneo fiscale, taglia 3 miliardi di tasse ai lavoratori che diventeranno 5 dal 2021. In totale sono circa 27 miliardi di riduzioni fiscali a fronte di misure discusse, ma molto contenute nel quadro complessivo della manovra. Il segno è chiaro: la pressione fiscale diminuisce sensibilmente rispetto a quanto previsto inizialmente. La verità è che due mesi fa si discuteva di quanto aumentare l’Iva, mentre noi in poche settimane abbiamo trovato le risorse per evitare agli italiani una stangata di 23 miliardi, per tagliare il cuneo, abolire i super ticket e finanziare il più grande piano di investimenti pubblici nella storia recente del Paese».
Le polemiche sono concentrate sulle microtasse.
«Stiamo parlando di provvedimenti che valgono meno del 5% della legge di bilancio e, nel caso della plastica e dello zucchero, sono state introdotte a vario grado da decine di Paesi avanzati. In ogni caso le rimoduleremo confrontandoci con gli operatori interessati, come già abbiamo iniziato a fare. L’imposta sulle auto aziendali, invece, verrà radicalmente rivista: è giusto differenziare l’aliquota in relazione al grado di inquinamento delle vetture, ma l’impatto – come ho dichiarato nei giorni scorsi – è sicuramente eccessivo».
Lei è sempre stato perplesso sulle manette agli evasori: lo è ancora?
«Continuo a pensare che la via maestra per il recupero dell’evasione fiscale non sia il Codice penale, bensì la digitalizzazione dei pagamenti e la tracciabilità delle transazioni».
Siamo in presenza di una manovra green, ma non vede aria di ambientalismo giacobino?
«Sono, senza se e senza ma, per l’ambientalismo che crea impresa e posti di lavoro e il piano di investimenti da oltre 55 miliardi va in questa direzione: puntare sull’efficienza energetica, la rigenerazione urbana, gli investimenti ambientali in modo da aiutare il sistema produttivo a creare centinaia di migliaia di posti di lavoro. Non condivido nessun giacobinismo, tanto meno quello ambientalista. La transizione ecologica non è un pranzo di gala: va accompagnata da misure di protezione sociale e deve diventare un’opportunità di sviluppo per il Paese».
Però l’ambientalismo oltranzista è vostro alleato.
«È un’alleanza di forze con sensibilità diverse. La questione dello sviluppo sostenibile sicuramente ci accomuna, ma la declinazione concreta spesso ci vede su posizioni diverse. Occorre trovare un punto d’equilibrio, come accade sempre quando al governo c’è una coalizione».
Ambientalismo per la crescita anche per la crisi dell’ex Ilva?
«L’ex Ilva è anche un tema ambientale, oltre che economico e occupazionale. Tutto si tiene, ad una condizione però: fare tutto il possibile per salvare lo stabilimento e le migliaia di persone che ci lavorano. È il “whatever it takes” di cui ha parlato il ministro Gualtieri, un appello che condivido fino in fondo».
Martedì ci sarà l’assemblea di Confindustria Bergamo con la partecipazione del presidente nazionale, Boccia. Nel mentre il giudizio del presidente di Confindustria Lombardia, Bonometti, sulla manovra è «pesantemente negativo su metodo e contenuti».
«Le critiche sono legittime e in qualche caso comprensibili. Mi piacerebbe, tuttavia, che gli industriali valorizzassero di più le numerose misure a favore delle imprese: la proroga degli incentivi di Industria 4.0, il nuovo credito d’imposta per gli investimenti ecosostenibili, le risorse per la nuova Sabatini e per il credito d’imposta per gli investimenti nel Mezzogiorno, gli oltre 500 milioni di euro di riduzione delle tariffe Inail nel 2022 e l’anticipo della totale deducibilità dell’Imu sui capannoni».
Ma restano Reddito di cittadinanza e Quota 100.
«L’Italia aveva, e ha, bisogno di una misura strutturale contro la povertà assoluta e da questo punto di vista è stato giusto confermare gli stanziamenti. Il Reddito di cittadinanza va, però, rivisto per farlo funzionare meglio, dialogando con l’Alleanza per la povertà, le istituzioni locali e le parti sociali. Per Quota 100, ricordo che scade nel 2021. È stata una decisione che noi non abbiamo condiviso, ma fortunatamente sta costando poco più della metà rispetto alle previsioni iniziali. Andrà sostituita con un meccanismo più equo e sostenibile per rendere flessibile l’età di pensionamento. Sarebbe, tuttavia, sbagliato abolirla da un giorno all’altro, sconvolgendo nuovamente le prospettive di chi ha pianificato l’uscita dal lavoro contando su Quota 100».
La maggioranza è divisa e s’affaccia l’idea che il governo non duri più di tanto.
«Serve stare al governo per fare le cose e siamo nei ministeri non per scaldare le poltrone, bensì per far ripartire il Paese. Se il governo andrà in questa direzione, continueremo a sostenerlo lealmente. Se invece la situazione degenerasse in una paralisi decisionale, allora bisognerebbe ripensare tutto. Insisto nel dire che un’alleanza non può che formarsi sulla leale collaborazione e sul rispetto reciproco. Finché questi criteri valgono, noi lavoreremo a testa bassa a sostegno dell’esecutivo. È una riflessione valida per tutti i nostri alleati, dai Cinquestelle ad Italia viva».
In realtà Zingaretti ha già detto che così non si va avanti.
«La preoccupazione del segretario del mio partito è legittima, non è pensabile fare vertici di maggioranza in cui si condividono i provvedimenti e un minuto dopo fare ripartire il gioco dei distinguo e delle bandierine: così una coalizione non può funzionare. Tutti insieme dobbiamo assumerci le responsabilità e tutti insieme dobbiamo difendere e valorizzare le scelte del governo».
Non trova che Conte sia piuttosto debole?
«Ho un’opinione positiva del premier: lavora in una situazione non facile e ha saputo costruire importanti punti d’equilibrio tra le forze della maggioranza».
Pd grillizzato, si dice: è così?
«Ma no! Dal 15 al 17 a Bologna, terremo una grande assemblea nazionale per discutere di idee, del nostro profilo politico, programmatico e organizzativo. Sarà una grande occasione di partecipazione e di rilancio. Abbiamo subito una scissione che oggettivamente ci ha indebolito, ma abbiamo tutte le energie per ripartire. A Zingaretti va riconosciuto il merito di aver saputo tenere unito il Pd e di aver posto le basi per una ripresa della nostra iniziativa politica».
*L’Eco di Bergamo, 9 novembre 2019