C’è una domanda a cui non so trovare una risposta: tutta quella rabbia che cova nella nostra vita, dove si annida nelle organizzazioni? Possibile che il “trumpismo” si fermi prima delle porte aziendali? Sembra che all’interno delle aziende non vi sia la rivoluzione identitaria portata dai social media, non siano presenti le fake news, non vi sia l’atteggiamento contro la scienza che tutti vediamo. Quasi che dentro i “sicuri” spazi aziendali tutto quello che sta cambiando fuori non riguardi la vita lavorativa delle persone. La risposta semplice potrebbe stare in una banale considerazione: le aziende hanno uno scopo, hanno un sistema di comando, hanno una loro cultura che riesce a tenere insieme il tutto. Sono, nella loro precarietà, degli agenti stabili. Questo perché le aziende, sotto il profilo strutturale, e non solo, sono le entità più vicine ad un’organizzazione militare? Lo Stato, la famiglia, le comunità sono messe in crisi sotto i colpi della società che stiamo vivendo. Certo il vivere in azienda è molto cambiato rispetto al passato. Una volta il capo era supremo e con lui non si discuteva. Una qualche forma di “democratizzazione” è avvenuta. Il tutto frutto di una sempre maggiore istruzione, un considerevole aumento dello scambio di informazioni e una velocità esterna esponenziale. Sono poche le aziende che stanno sperimentando forme di organizzazione agili o circolari. Anche la tecnologia ha contribuito molto a modificare lo stare in azienda. Il potere è legato all’informazione, ed è esercitato tramite la creazione di regole scritte e non. Ma la forza gerarchica è esercitata quando l’informazione da sola non riesce ad orientare i comportamenti dei soggetti. E la gerarchia – più o meno piatta – fa la differenza in azienda. Diverso, ma simile a quello che avviene all’interno di un esercito. Simile a quello che non avviene più in una famiglia dove gli affetti prevalgono sempre più sulla gerarchia.
I nuovi Stati
Se pensiamo poi a realtà come Google, Amazon, Alibaba, Facebook e Apple (GAAFA), possiamo ben capire che la loro forza intrinseca, dovuta alla quantità e alla pervasività di potere che sanno esercitare in campo, non può che mettere in crisi il concetto dello Stato sovrano. Questi enormi moloch dispongono di informazioni come nessuno nella storia ha mai posseduto. Non a caso le Five Company sono costruite, e governate, con una precisa linea di comando, obiettivi altrettanto definiti e vivono di big data. È in questa logica che la Cina oggi non può più essere considerata uno Stato e può essere assimilata ad un sistema aziendale. Circa cento funzionari di partito gestiscono quasi un miliardo e mezzo di persone attraverso un accurato sistema di informazioni e un potere preciso e puntuale. Nel suo libro, “La quarta rivoluzione”, Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, dedica molto spazio alla metamorfosi del sistema organizzativo-politico in quella che lui definisce la nuova età iperstorica. Di una nuova semantica il libro di Floridi è pieno, d’altra parte questo “nuovo mondo” non sta trovando solo significati diversi, ha bisogno di parole che sappiano codificarlo ed interpretarlo. Il tempo che viviamo è oggi sinonimo di informazione. In questo senso per Floridi stiamo entrando nell’iperstoria in cui
“il progresso e il benessere dell’umanità hanno iniziato a essere, non soltanto collegati, ma soprattutto dipendenti dall’efficace ed efficiente gestione del ciclo di vita dell’informazione.”
Un passaggio decisivo che non tutti stiamo vivendo. La maggior parte delle persone vive ancora nella storia, in spazi in cui le ICT (Information and Communication Technologies) registrano, trasmettono e utilizzano i dati di ogni genere. In questi spazi, le ICT non hanno ancora avuto il sopravvento sulle altre tecnologie (l’ascia è stata una delle prime tecnologie che l’uomo ha inventato e utilizzato). In altri ambiti, invece, le ICT sono divenute condizioni essenziali per assicurare il benessere sociale, la crescita individuale e lo sviluppo in generale: qui siamo definitivamente entrati nella iperstoria. L’iperstoria dipende dai big data dove però la qualità della memoria digitale è più volta a dimenticare che a ricordare. Sembra strano. Tutti noi pensiamo che internet non dimentichi. In realtà all’inizio del 1998, la vita media di un documento non abbandonato era pari a 75 giorni. Adesso, è pari a 45 giorni. La decadenza dei link è una cosa che tutti possono facilmente sperimentare. Il rischio serio – per Floridi – è che le differenze siano cancellate, le alternative amalgamate, il passato costantemente riscritto e la storia sintetizzata a un perenne qui e ora. A dimostrazione di ciò, la stessa industria del recupero dei dati sta vivendo una sensibile diminuzione del fatturato. Floridi si spinge a ritenere che questo schiacciamento della memoria ci porterà sempre più verso una cancellazione delle differenze, un passato continuamente riscritto con una “storia ridotta a perenne qui e ora”.
Le rivoluzioni vanno in sequenza
La quarta rivoluzione – dopo la prima, introdotta nel 1543 da Copernico, la seconda, avvenuta nel 1859 con Charles Darwin, la terza, introdotta con Sigmund Freud -, ci apre ad una esperienza di vita dove non c’è più una chiara distinzione tra online e offline (onlife). Alla luce della quarta rivoluzione comprenderemo noi stessi come organismi informazionali tra altri organismi informazionali. Uno scenario che ridisegna gli attori in gioco ma che modifica la nostra identità così plasmata dalle tecnologie del sé che fanno più affidamento ad indicatori che ad esperienze. La tesi di Floridi è che le ICT non stiano diventando più intelligenti dell’uomo, rendendolo al contempo più stupido. È il mondo che via via sta assumendo le forme di un’infosfera, partendo dalla biosfera, sempre più adatta alle capacità limitate delle ICT. In altre parole è la
“cablatura del mondo che sta modificando il sistema in cui gli esseri umani diventano parte integrante del meccanismo: “(…) Il modo in cui costruiamo, formiamo e regoliamo dal punto di vista ecologico la nostra nuova infosfera e noi stessi è la sfida cruciale sollevata dalle ICT e dalla quarta rivoluzione.”
Un sistema politico multi-agente
È nella parte dedicata alla politica che il libro di Floridi presenta delle indicazioni particolarmente interessanti. Per l’autore stiamo assistendo all’apoptosi della politica. Per apoptosi intende la forma naturale di autodistruzione del sistema cellulare necessaria per lo sviluppo e conservazione della salute di un corpo. Un nuovo ordine informazionale, dopo la pace di Vestfalia del 1648 e la conferenza di Bretton Woods del 1944, si sta creando. Nuovi equilibri stanno ridisegnando il potere, la geografia, l’organizzazione e la democrazia. Pensiamo a cosa vorrebbe dire non battere più moneta per uno Stato qualora le criptovalute dovessero avere la meglio. Quello che si sta prefigurando è un sistema politico multi-agente, fatto di Stati, di aziende, di altre organizzazioni non governative:
“Se non si coglie questo passaggio dallo storico (…) all’iperstorico (…), si finisce probabilmente per non comprendere l’apparente incoerenza tra il disincanto individuale nei confronti della politica e la popolarità dei movimenti globali, dell’attivismo, del volontarismo e delle mobilitazioni internazionali, nonché delle altre forze sociali che hanno forti implicazioni politiche. Ciò che è moribonda non è la politica tout court, ma la politica storica, fondata su partiti, classi, ruoli sociali definiti, manifesti e programmi politici, e lo stato sovrano, che ricercava la propria legittimazione politica una sola volta e che l’usava finché non gli era revocata.”
Chissà, magari tra cinquant’anni potremo vedere le organizzazioni statuali in modo non troppo diverso da come noi oggi guardiamo le tribù amazzoniche rimaste, tra l’altro, uno degli ultimi esempi di società preistoriche senza stato. E chissà se le aziende, piccole o grandi che siano, riusciranno a mantenere le loro forme organizzative gerarchiche o andranno, sotto i colpi dell’ordine informazionale, a riposizionarsi verso altre strutture produttive e decisionali. L’aumento del potere dell’informazione potrebbe definitivamente assorbire la forza della gerarchia. A quel punto la centralità del capo potrebbe venire meno o muterà il ruolo. “La quarta rivoluzione” è un libro molto denso che affronta in modo realistico il futuro ponendo alcune problematiche etiche che l’umanità non ha mai dovuto porsi come ad esempio l’uso dei robot. Chi avrebbe mai detto che l’azienda americana iRobot, quella che costruisce la roomba – quella che pulisce casa mia – produce anche robot per l’esercito americano?
Titolo: La quarta rivoluzione
Autore: Luciano Floridi
Editore: Raffaello Cortina Editore
285 pp; 24 Euro