Citazione delle due regole capitali di Warren Buffett. La prima: vietato perdere soldi. La seconda regola: mai dimenticare la prima. Buffett sulle sponde dell’Adige da qualche mese non è solo genericamente l’oracolo di Omaha, ma il primo azionista di Cattolica Assicurazioni. E non fa specie dunque che Alberto Minali, 52 anni, veronese, da nove mesi amministratore delegato in Cattolica, richiami il pensiero di colui che detiene il 9% della Compagnia. Buffett viene in gioco nel periodare di Minali pure per indicare la stella polare: la redditività. Ma come si concilia la ricerca del profitto con la forma mutualistica e con la natura di cooperativa di Cattolica?
«Non va mitizzata la società per azioni. La cooperativa può essere gestita con criteri di massima efficienza e rigore, restando molto radicati sul territorio e però in maniera sana. La tecnicità della gestione è il presupposto della sostenibilità del business, della capacità dell’azienda di creare e dunque distribuire ricchezza».
Parrebbe una tesi di comune frequentazione. Ma evidentemente non nella Compagnia che ha trovato.
«Sono stati mesi di lavoro egregio, sempre supportato dal Consiglio di amministrazione. Abbiamo stretto l’accordo con Bpm, cambiato la squadra di comando, presentato un piano industriale molto sfidante, ci stiamo avviando al modello monistico e verso la riduzione del numero dei consiglieri, se l’Assemblea lo approverà. Stiamo proponendo un primo passo di grande apertura all’insegna della modernizzazione dell’azienda che ha 120 anni di storia»
Insisto: come stanno insieme cooperativa e finanza e profitto?
«Dobbiamo separare nettamente la necessità di efficienza della azienda e le finalità della Fondazione, che sta operando in modo eccellente. Facciamo un paio di esempi. Sul business legato agli enti religiosi o sulla polizza unica per il volontariato possiamo proporci margini di profitto non enormi, ma comunque remunerativi, di sicuro non possiamo applicare tariffe in perdita. Perché io rispondo ai soci e alle loro legittime aspettative di apprezzamento del titolo e di distribuzione di dividendi. Il mio obiettivo è generare ricchezza nell’interesse del territorio. Non facciamo beneficenza. Le attività benefiche sono in capo alla Fondazione».
Erano cooperative anche le banche popolari venete, di cui eravate soci. E quella di Vicenza era vostro socio primario.
«La gestione di alcune popolari ha generato un disastro, determinando in Veneto un massivo impoverimento. La forma cooperativa non è facile, tanto spesso occorre dire no. Il sistema coop ti porta a un rischio di condizionamento forte del territorio, invece per difendere i territori occorre più distanza e netta distinzione dei ruoli e dei target».
Che cosa ha convinto Buffett a investire in Cattolica?
«Ha visto qui una opportunità e che l’azienda in borsa era sottovalutata. Ha visto potenziale di crescita. Mi hanno detto che il piano industriale gli è piaciuto e che esprime fiducia nel management. Per lui sempre vanno insieme integrità management e potenziale di crescita. Integrity, integrity, integrity è uno dei suoi mantra. Dal nostro punto di vista è di grande importanza poter contare sulla partnership tecnica con Berkshire Hathaway: primo ri-assicuratore al mondo».
Ritiene ci siano altri investitori istituzionali alla finestra?
«A Milano, Parigi, Londra, New York, Boston in road show abbiamo incontrato analisti estremamente preparati sul dossier Cattolica, pur essendo una small medium cap. Buon segnale. Warren Buffett è un catalizzatore di investitori».
Vi state rafforzando sul piano societario anche per prepararvi al processo di polarizzazioni cui il comparto assicurativo va incontro?
«Non prevediamo di essere consolidatori nell’arco del piano al 2020. Più facile a dirlo che a farlo, di poter eseguire acquisizioni in una fase di rifondazione quale è la presente. Al 2020 saremo una società solida con un buon business model e aperta al mercato. Perseguire acquisizioni adesso vorrebbe dire immettere ulteriore complessità in un processo già molto ambizioso. Siamo come una nave in navigazione in acque agitate e che deve in pari tempo riarmarsi. Dobbiamo mettere a posto la Compagnia e crescere in pari tempo».
Infatti puntate a 375-400 milioni di utile operativo a fine piano, ossia il 60% più del 2016, a passare dal 6 al 10% il Roe operativo e aumentare del 50% i dividendi.
«Target ambiziosi e realistici al tempo stesso. Il fil rouge di un piano davvero corale, che ha coinvolto in 21 cantieri oltre 150 colleghi, si chiama crescita profittevole. Che va associata a eccellenza tecnica e uso della tecnologia. Sarebbe facile vendere polizze sotto prezzo, ma noi cerchiamo sostenibilità e profitto. Dobbiamo intensamente lavorare sui punti di debolezza e farli diventare punti di forza o almeno di minor debolezza».
Quali sono i principali fattori di debolezza ?
«La scarsa multicanalità e la bassa performance della linea aziende che genera 50 milioni di perdite, a causa anche di prodotti vecchi e con tariffe non in linea con il costo medio dei sinistri. Da questa analisi partono azioni concrete. Parlo di aumento della multi-canalità, dell’accordo con Banco Bpm, di un rapporto nuovo con i broker e di una specialty line. Quest’ultimo è un progetto che coltivo da anni. I rischi di sistema Italia, che si tratti di business di carattere finanziario, rischi catastrofali, cyber risk, avionics o trasporto opere d’arte, vengono impacchettati dai broker e collocati su Londra. Non possiamo sostituirci a Londra. Ma possiamo essere considerati in Italia un soggetto che può prendere un pezzo di questi rischi. Pensiamo in tre anni di raggiungere 100 milioni di premi di nuova produzione e 5 milioni di utile. Siamo dentro a un processo di trasformazione e crescita che richiede coinvolgimento e formazione per i nostri 1.600 dipendenti».
Un processo così radicale come impatta sull’organizzazione del lavoro?
«Tante procedure basiche, nella gestione dei sinistri, saranno robotizzate. Una quota importante di persone, man mano che la tecnologia si espande, si troveranno a fare lavori obsoleti. Ma siamo Cattolica e non vogliamo mandare a casa la gente, i lavori di bassa qualità saranno sostituiti e la formazione del personale consentirà di reperire nuovi ambiti di attività. Lo potremo fare se saremo capaci di aumentare efficienza e servizi, investendo pesantemente in formazione, non certo se puntiamo a essere una low cost».