Un miliardo, euro più, euro meno. A tanto potrebbe ammontare il miglioramento degli utili creati dalle società quotate a Piazza Affari nei primi tre mesi di questo 2018 se i dati diffusi durante la stagione dei bilanci – che entrerà nel vivo proprio questa settimana con alcuni «big» del calibro di Enel, Intesa Sanpaolo e UniCredit – confermeranno quanto di buono si attendono gli analisti. È del resto un trimestre piuttosto complesso da valutare e analizzare quello che ha aperto l’anno: visto con gli occhi di chi sta in Europa è iniziato con indicatori macroeconomici ancora positivi, anche se non certo al livello di quelli sorprendenti della seconda metà del 2017, ma in seguito non sono mancati i primi segnali di perdita di vitalità del ciclo economico.
A tutto questo va inoltre aggiunta la forza relativa dell’euro che, se confrontata con i valori registrati di 12 mesi prima quando addirittura si erano raggiunti i minimi pluriennali sfiorando la parità con il dollaro, ha senz’altro giocato a sfavore delle aziende esportatrici italiane e soprattutto dell’area euro. Prova ne sia che a livello aggregato Thomson Reuters I/B/E/S prevede un progresso abbastanza contenuto (+1,6% rispetto a 12 mesi fa) dei profitti per le aziende più importanti a livello continentale comprese nell’indice Stoxx 600. Niente, insomma, a confronto delle cifre quasi iperboliche (+25,7%) che per lo stesso periodo stanno registrando le compagnie Usa racchiuse nell’S&P 500.
Il nostro Paese mostra in ogni caso una dinamica piuttosto interessante se è vero che, sempre in base alle proiezioni medie degli analisti, i profitti delle 33 società italiane comprese nell’indice Stoxx 600 (che valgono quasi il 90% del «monte utili» di Piazza Affari) cresceranno nel primo trimestre dell’11,1% rispetto ai 12 mesi precedenti. Soltanto Irlanda e Finlandia faranno meglio di noi nel Vecchio Continente, mentre Germania (+3,6%), Spagna (+2,2%) e Francia (addirittura -7,8%) resteranno indietro in modo significativo. Si tratta di un dato che evidentemente non arriva ancora a risentire dell’incertezza politica degli ultimi mesi, che si accompagna a una ripresa economica un po’ meno asfittica del solito e che soprattutto si riflette una volta tanto anche sugli andamenti borsistici, visto che con il suo +10% da inizio anno Piazza Affari è ai massimi dall’autunno 2009 e guarda dall’alto il resto dei listini europei.
È tuttavia anche un dato da interpretare, perché figlio in gran parte dello sbilanciamento del nostro listino principale verso i titoli energetici, le utility e le banche: settori che per motivi differenti (la ristrutturazione in atto nel comparto del credito e il rincaro dei prezzi di petrolio e materie prime) hanno gioco abbastanza facile nel migliorare le prestazioni rispetto a un anno fa. Che si stia attraversando una fase favorevole è però altrettanto innegabile e i pochi dati finora riportati al mercato (fra i quali spiccano il terzetto Fca, Cnh e Ferrari, ma anche StMicroelectronics) lo confermano.
Altra faccenda è cercare di guardare oltre il periodo ormai alle spalle che, se si dovessero proiettare le stime raccolte da Thomson Reuters sull’intero listino milanese, porterebbe comunque il monte utili trimestrale a crescere da circa 9,6 miliardi di euro di un anno fa ai poco più di 10,6 miliardi attuali. I segnali di incertezza sotto questo aspetto non mancano di certo: al di là del problema specifico italiano legato all’esito delle elezioni e alla mancanza ancora di un governo sono diversi gli indicatori economici prospettici, riconosciuti di recente anche dal presidente della Bce, Mario Draghi, che lasciano intuire un rallentamento della corsa in atto.
«Qualche timore che la parte migliore della ripresa sia ormai alle nostre spalle è innegabile ed è anche significativo che le revisioni al rialzo delle stime sugli utili da parte degli analisti, particolarmente frequenti a inizio anno, siano diventate piuttosto rare nelle ultime settimane» ammette Alberto Villa, responsabile ricerca azionaria di Intermonte Sim. Dare per esaurita la spinta sarebbe però azzardato e prematuro perché, come spiega sempre Villa «il livello degli ordinativi delle società è ancora elevato, la visibilità che queste hanno delle proprie attività è buona e non si ha certo il sentore di un imminente rallentamento in arrivo».
Del resto le stime di Intermonte indicano per le società italiane coperte dalla propria analisi un progresso degli utili 2018 nell’ordine del 18% e significativamente più elevato rispetto al +7-8% previsto per l’Europa nel complesso. Uno scenario insomma in sé incoraggiante, che potrebbe essere messo a rischio da una frenata dell’economia superiore a quanto già non ci si attenda, da un eventuale nuovo rafforzamento dell’euro che possa mettere i bastoni fra le ruote degli esportatori e anche da un ulteriore rincaro dei prezzi delle materie prime (che pur favorendo i protagonisti del settore va in generale a penalizzare il mondo produttivo). Ma che dall’altra parte potrebbe giovarsi di un atteggiamento ancora accomodante da parte della Bce, visto il contesto di inflazione contenuta e i timori sulla ripresa.
Per capire se il ciclo degli utili e ancor più la fase rialzista della Borsa milanese possano continuare su questi livelli sarà dunque fondamentale seguire l’evoluzione delle dinamiche macroeconomiche dei prossimi mesi. «Con un rendimento medio dei dividendi superiore al 3% Piazza Affari resta interessante per gli investitori», suggerisce ancora Villa. Ma se dovesse mancare la spinta dei profitti che si è vista negli ultimi trimestri il rischio che tutto si possa trasformare nel più classico dei castelli di carte è più che mai concreto.