Vendere il Made in Italy è un’operazione complessa, specialmente quando si tratta di prodotti su misura. Davide Ceccarelli lo sa bene e per questo ha costituito nella sua Technowrapp, in quel di Feltre (Belluno), una vera e propria Academy che insegna ai venditori e a tutti i dipendenti l’arte dell’ascolto. La vendita di macchine per imballaggio versione custom necessita di una grande attenzione a tutte le richieste (anche a quelle implicite) del cliente finale. I venditori vengono allenati a cogliere le osservazioni e i suggerimenti dei committenti. La Academy messa a punto da Technowrapp non si limita ad affinare l’ascolto attivo dei dipendenti. Li spinge a proporre soluzioni tecniche innovative per migliorare la tecnologia e i servizi accessori. Tutte le proposte vengono prese in considerazione, nessuno spunto viene rigettato a priori. «È importante che tutti coloro che hanno suggerimenti vengano ascoltati – ripete Ceccarelli – in un clima di attenzione e di collaborazione».
La Technowrapp è un’impresa particolare. Cresce in termini di fatturato e di export. Investe da tempo sulle risorse umane. Rispetto alla media delle imprese italiane è un’eccellenza. Il suo caso, tuttavia, non è molto diverso da quello di molti altri esportatori che hanno imparato a proporre prodotti su misura a clienti internazionali particolarmente esigenti. Per poter essere un passo avanti, un gran numero di imprese italiane ha puntato sull’ascolto, sul dialogo interculturale e sull’intraprendenza dei collaboratori. Queste caratteristiche meritano di essere coltivate con strumenti specifici. Non sorprende che molte grandi e medie imprese italiane abbiano avviato accademie interne destinate a sviluppare qualità e talenti in questa direzione.
Ciò che oggi stupisce è la distanza fra il messaggio promosso da queste imprese e il clima culturale che si respira nel Paese. Le competenze all’origine del miglior Made in Italy (disponibilità all’ascolto, pensiero critico, disponibilità al confronto) sono merce rara su un web popolato da commentatori ipercritici e molestatori seriali. Il nostro dibattito politico sembra popolato da persone poco disponibili all’ascolto attivo, ancora meno a virtù come perseveranza e coerenza. Disponibilità e collaborazione, necessari in un contesto organizzativo che riconosce l’errore come materia prima per un processo di apprendimento continuo, sono pressoché scomparsi dai confronti televisivi.
I tempi non sono facili, si dirà, e lo scontro politico merita toni rudi. In questo contesto le imprese del Made in Italy più sofisticato si muovono in direzione diversa. Rilanciano una gestione delle risorse umane orientata al dialogo rispettoso dei singoli e delle loro capacità. Da questo punto di vista, viviamo una situazione opposta e speculare a quella che abbiamo sperimentato negli anni Sessanta e Settanta. In quegli anni problematici, la società civile esprimeva una varietà di posizioni e di linguaggi che si fermavano ai “cancelli della fabbrica” per riprendere un’espressione in voga alcuni anni fa. Il fermento e le tensioni sociali di quegli anni non avevano cittadinanza nei luoghi della produzione di massa che imponevano subordinazione passiva e poco slancio. Oggi è la migliore manifattura a tutelare la cultura del dialogo e il rispetto della soggettività in funzione di processi di innovazione.
Quanto è sostenibile questo iato? La domanda è legittima per varie ragioni. La prima ha a che fare con le generazioni in attesa di entrare nel mondo del lavoro. È difficile che giovani abituati all’aggressività e a un dialogo semplificato (o assuefatti all’apatia come strumento di difesa) scoprano d’incanto l’importanza dell’interazione e della collaborazione come presupposto del miglioramento continuo. La seconda è legata al valore del prodotto italiano. Chi compra Made in Italy non acquista semplicemente un prodotto di qualità ma anche una cultura del lavoro, un’idea di creatività e di impegno, l’attenzione e il rispetto per il cliente finale. In molti mercati, non solo in quelli del lusso, il prodotto italiano ha valore proprio perché incarna una cultura del lavoro che il mondo guarda con curiosità e interesse. Rinnovare una cultura di impresa e una leadership orientate all’ascolto e alla valorizzazione dei singoli rappresenta un’esigenza per la crescita delle nostre imprese. È fondamentale esserne consapevoli.
Sono molti gli imprenditori che, in buona fede, credono sia possibile gestire queste contraddizioni distinguendo fra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori dal perimetro organizzativo della propria impresa. La storia ci insegna che una qualche forma di allineamento fra i due piani è inevitabile. Questo allineamento può essere il risultato di uno sforzo di innovazione sociale e culturale in grado di promuovere un nuovo ruolo dell’impresa nella società e un nuovo dialogo fra capitale e lavoro (è quello che è successo – almeno in parte – negli anni Ottanta). O può emergere come compromesso al ribasso, attraverso un ritorno a formule imprenditoriali superate, incardinate su un’idea di leadership regressiva, in grado di riguadagnare competitività solo a condizione di abbandonare la moneta unica.
Chi ha lavorato seriamente in questi vent’anni per conquistare una posizione competitiva internazionale grazie a innovazione e qualità difficilmente potrà sottrarsi da un dibattito su questi temi. Un impegno pubblico non significa necessariamente “scendere in campo” o sostenere in modo esplicito questo o quel partito a scapito di altri. Significa ribadire con forza all’opinione pubblica l’importanza di valori e competenze che sono all’origine del successo della migliore economia del Paese.