È utile guardare alle micro-economie che si muovono rasoterra nella società. Sono esperienze che apparentemente hanno più a che fare con la dimensione della vita quotidiana che con le dinamiche del valore economico. Mi sto riferendo a quelle che vengono definite economie sociali e solidali (Ess), barlumi di green society organizzati in un repertorio di protagonismo dei luoghi in varie forme: gruppi di acquisto solidale (Gas); botteghe del commercio equo e solidale; associazioni di cittadini produttori; cooperative di consumo orientate ai nuovi stili di vita del “consum-attore” che sceglie; nuove forme di cooperative comunitarie o imprese sociali; piccoli produttori agricoli che, oltre al cibo, producono tenuta del paesaggio e il bene comune della comunità.
Forme di economie comunitarie ibride o anfibie, nelle quali la progettualità imprenditoriale incorpora dall’inizio l’obiettivo sociale. Sono filamenti di minoranza, non c’è che dire. Eppure sono anche micro-economie che agiscono su tre dimensioni oggi fondamentali per rendere sostenibili le nostre società: inclusione, comunità e rappresentanza. Esprimono orientamenti sempre più diffusi a pensare il consumo come una azione politica (si parla di consumo critico), in una logica per cui “si vota con il portafoglio e si mangia con la testa”.
Dal punto di vista della composizione sociale sono forme d’azione tipiche di un ceto medio riflessivo che tenta di adattarsi a un mondo sempre più polarizzato e con l’ascensore sociale bloccato. Segmenti di società più ricchi di capitale culturale e civile che economico. Reagiscono alla crisi di un modello di sviluppo fondato sulla costante accelerazione sociale e tecnologica; che si presenta ricco di mezzi potenti (consumi, capitali, tecnologie), ma povero di fini e in difficoltà nella promessa di un futuro che sia anche aperto e inclusivo.
Sono anche esperienze di micro-tessitura sociale le cui parole d’ordine rispecchiano i valori che ho chiamato di green society: sostenibilità, sviluppo, comune-comunità, etica, responsabilità, terra, giustizia, inclusione e, aggiungo, territorio. Esperienze di economia civica che per quanto piccole sono comunque cresciute negli anni della crisi, in parte sull’onda del diffondersi di stili di vita diretti a rinsaldare i legami tra umanità e natura che hanno trovato nel cibo di qualità la loro espressione di mercato.
Una green society che la turbo-innovazione trainata dalla potenza della tecnica pone di fronte a grandi cambiamenti. Anzitutto, l’emergere di una industria della sostenibilità, espressione di una capacità del capitalismo di incorporare il limite ambientale come nuova leva del valore nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’umano e del sociale. Secondo, l’emergere di una nuova questione sociale, di nuove disuguaglianze che erodono e trasformano allo stesso tempo il grande bacino dei ceti medi e costituiscono invece nuove forme di povertà sia migrante che autoctona. È una metamorfosi sociale che spinge le economie etiche a uscire dalla condizione di nicchia culturale. Infine, l’affermarsi di forme di partecipazione civile sempre più centrate sull’autorealizzazione dell’individuo e sull’ampio processo di femminilizzazione che sta investendo le forme partecipative nel milieu della sostenibilità.
Le micro-economie territoriali sono espressione di quella che io chiamo la vibratilità del margine, in cui la capacità di ridefinire le coordinate di sviluppo e innovazione viene da piccoli gruppi o comunità periferiche che provano a lavorare su beni e servizi primari (cibo, socialità, welfare) partendo dall’infrastruttura della vita quotidiana. Oggi esse sono prevalentemente forme di uscita dal modello e dalla retorica di crescita economica dominante. Per riprendere i concetti di Albert Otto Hirschman le micro-economie di comunità sono nate e si sono sviluppate come forme di exit, per quanto organizzata e collettiva, creando nicchie di innovazione.
Le sfide odierne, ambiente e crisi climatica, imporrebbero un salto nella capacità di produrre anche voice, stando nella società e mettendosi in connessione con la comunità operosa dell’impresa che alla sostenibilità già guarda. La strada per fare condensa e crescere è ancora lunga.