Racconta Federico Visentin che il momento più delicato è stato a inizio anni Duemila, quando la prima generazione imprenditoriale ha lasciato la stanza dei bottoni ai figli. «Cinque figli, tutti con le stesse quote, capite che la divisione dei compiti e la riorganizzazione non è stata facile. Abbiamo così costituito una Sapa, una società di capitali che garantisse la continuità industriale e finanziaria del progetto nato dai miei genitori come mollificio nel 1961».
Siamo a Rosà, cinque minuti di auto a sud di Bassano del Grappa, e oggi Federico Visentin è il ceo della Mevis, l’azienda metalmeccanica controllata al 100% da Fondamenta, la holding di famiglia. «Siamo cresciuti – prosegue – e abbiamo differenziato l’offerta. Oggi produciamo molle a compressione, a trazione, a torsione, bobine, anelli, sistemi saldati e assemblati, sistemi sovrastampati plastici, abbiamo altri due stabilimenti produttivi, uno in Slovacchia e uno in Cina e abbiamo chiuso il 2018 con un 5% di calo rispetto agli 84,7 milioni di ricavi messi nel consolidato 2017». Il motivo della leggera flessione è presto detto: il mercato di Mevis è per il 70% legato alla complessa filiera dell’automotive che conduce soprattutto in Germania. «Dieselgate, novità normative sul calcolo delle emissioni e incertezze sul futuro dell’auto elettrica hanno penalizzato il settore, ma la nostra redditività è addirittura aumentata, dato che l’Ebitda rimane stabile, sopra i 17 punti percentuali».
Il che ha permesso di conservare i livelli occupazionali – 450 dipendenti in Italia, 170 in Slovacchia e una ventina in Cina – cementando inoltre i contatti con settori alternativi come l’elettrodomestico e il variegato mondo delle forniture elettriche. «Dobbiamo ringraziare la tecnologia – ragiona Visentin, che è anche vicepresidente di Federmeccanica con delega all’Education –, nel senso che l’automazione ha alzato l’asticella della qualità ma ci ha anche reso più flessibili. Ciò che per semplicità chiamiamo Industria 4.0 ha democratizzato l’hi-tech, un tempo appannaggio della grande industria». La qual cosa, tuttavia, per l’imprenditore vicentino non significa che l’elemento umano sia stato messo in secondo piano. «Anzi, le conoscenze dei nostri collaboratori sono ancora più importanti nella fabbrica connessa. Pensi che qualche anno fa, per trovare tecnici validi, siamo dovuti andare fino in Germania a convincere gli italiani lì trasferitisi e formatisi di tornare da noi».