Ora che il governo finlandese ha deciso di interrompere a fine anno il suo esperimento su qualcosa di simile a un reddito di cittadinanza, si può finalmente dirlo: bisogna imitare Helsinki. Ma non nel senso di lasciar cadere il tentativo di distribuire un assegno mensile modesto, ma senza condizioni, ai disoccupati. Al contrario: sarebbe giusto varare un programma esattamente come hanno fatto i finlandesi. Questi ultimi non si sono lasciati andare a progetti troppo cari per essere credibili o troppo vaghi e mutevoli per essere comprensibili.
No: il governo di Helsinki, una coalizione conservatrice con venature populiste in uno dei partiti della maggioranza, ha agito con una razionalità che ai nostri paralleli suona singolare. Per capire se poteva funzionare, l’ha sperimentata. Ha selezionato un gruppo di 2 mila disoccupati fra i 25 e i 58 anni e a loro nel 2017 e 2018 si è impegnato a versare 560 euro al mese, senza condizioni: l’assegno sarebbe arrivato anche a chi nel frattempo avesse trovato un lavoro. Costo, circa 15 milioni l’anno.
Poi però c’è un altro aspetto dell’esperimento del quale si parla meno: accanto ai 2 mila beneficiari, il governo ha selezionato anche un numero più alto di persone senza lavoro che non avrebbero ricevuto quel sussidio. L’obiettivo è confrontare i due gruppi: chi incassa l’assegno che noi diremmo «di cittadinanza» si impegna di meno o di più nel cercare un impiego, rispetto alle persone nell’altro gruppo? I livelli di ansia e lo stato generale di salute migliorano, peggiorano o restano uguali a quelli degli altri? I risultati non sono ancora noti, ma il metodo sì e la decisione anche: questo sussidio non proseguirà. La Finlandia è per certi aspetti simile all’Italia, perché negli ultimi 10 anni ha vissuto tre recessioni ed è cresciuta pochissimo. Ma per altri è agli antipodi: prima di deliberare, i politici misurano e mettono alla prova le proprie idee. Specie se non sono a buon mercato.