Come milioni di italiani anche Carlo Messina da un mese lavora «da casa, con totale efficacia ed efficienza, al pari di quasi tutti i nostri 100 mila dipendenti – racconta l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo – . Il vero limite, per me, è non poter guardare negli occhi le persone per trasmettere al meglio i messaggi di empatia e di forza più che mai centrali in questo momento». Secondo il banchiere romano «se l’Italia si gioca bene questa grave crisi potrà uscirne anche rafforzata: ma a patto che ognuno faccia in pieno la sua parte, sia di cittadino sia di elemento attivo del sistema economico».
Il che a suo parere vuol dire: aumentare le donazioni per l’emergenza attuale e per quelle sociali future («rischiamo 10 milioni di poveri, e in quel caso rialzarsi sarà molto più difficile»); ricapitalizzare le imprese per tutti i proprietari che hanno accumulato ricchezza «in Italia e ancor più all’estero»; ridurre il debito pubblico cartolarizzando parte del patrimonio immobiliare, con l’ausilio di quel che verrà dall’Europa, e che «se passasse dalla Bei potrebbe portare a un contributo di finanziamenti fino a 100 miliardi per il Paese, senza alcuna condizionalità».
Fare la propria parte: cosa significa esattamente?
«Personalmente ho donato un 1 milione per l’emergenza, 21 top manager della banca altri 5 milioni, Intesa Sanpaolo ne ha donati 100.
Siamo di certo la banca che ha dato di più al mondo per contrastare il Covid-19, e vale anche per il suo management. Nel Paese c’è grande ricchezza privata, e imprese solide.
È necessario fare di più da parte di chi è in grado di aiutare oggi la sanità, e domani il tessuto sociale che subirà gravi strappi. È un fatto di cultura e di valori: nei prossimi due anni dovremo aumentare pratiche del genere. E il valore segnaletico di imprese e banche sui cittadini è importante».
Oltre agli oboli cosa sta facendo Intesa Sanpaolo per la pandemia?
«Abbiamo sempre tenuto aperte, in modo flessibile, le nostre filiali, con meccanismi di massima tutela di chi ci lavorava e ci affluiva. Un modo per garantire la nostra funzione pubblica, che comunque non ci ha evitato di avere oltre 150 colleghi colpiti dal Covid-19. Confermiamo il nostro ruolo a sostegno del Paese con 450 miliardi di accordati, ovvero risorse che mettiamo disposizione, che è oltre il 25% del Pil. A marzo abbiamo erogato nuovi crediti per 5 miliardi: senza garanzie di alcun tipo, e credo tra i pochi a farlo nel mese in cui il virus esplodeva. Al contempo abbiamo messo a disposizione un plafond da 15 miliardi per il nuovo credito e le misure varate dal governo lunedì ci consentono di aumentare subito la dotazione a 50 miliardi. Non dimentichiamo che il tempo è un fattore chiave: per questo ho dato disposizione ad alcuni nostri uffici che non fanno parte della divisione commerciale di unirsi alla rete, per avere subito oltre 30 mila persone che sappiano rispondere in pochi giorni a tutte le richieste che verranno dalle aziende. Infine stiamo per lanciare il “Prestito d’impatto”, a tasso zero e con scadenze lunghe da dedicare alle attività a maggiore impatto sociale: chi realizza un ospedale, chi fa ricerca scientifica, chi aiuta poveri e malati, una decina di settori a più alta valenza sociale».
Non si rischia che tanta solerzia sia anche un modo per scaricare vecchi crediti malandati con nuovi crediti garantiti dallo Stato?
«Il decreto garantisce solo i nuovi flussi, non mi pare possibile fare arbitraggi. Comunque, dato che siamo uno dei settori più vigilati al mondo, nessun problema se ci saranno controlli per verificare i flussi degli impieghi bancari».
Quindi le garanzie illimitate alle banche sono quello che serve all’economia italiana per rinascere?
«L’ottimo è nemico del bene, ma mi pare che a prima vista il decreto per volumi e struttura possa funzionare. Faccio però due considerazioni. La prima sulla continuità aziendale delle imprese che beneficiano delle garanzie: questi 200 miliardi, soldi dei cittadini, devono servire solo per pagare affitti, fornitori e preservare l’occupazione. E non a rafforzare imprese che finora si sono mosse egregiamente sui mercati. I proprietari di queste imprese, spesso imprenditori con notevole ricchezza accumulata in Italia o all’estero, dovrebbero lasciare le garanzie di Stato ai settori deboli e rispondere a un altro imperativo morale. È l’ora di far tornare i loro soldi nelle aziende, ricapitalizzarle per contribuire ad accelerare il recupero del Paese. E il governo, con una visione pragmatica, dovrebbe studiare il rimpatrio di quei fondi dall’estero, agevolandoli se sosterranno le imprese italiane».
Sarebbe un pilastro miliardario da affiancare alle garanzie. Lei in quali settori le vede più urgenti?
«Ce n’è diversi dove non va esclusa una nazionalizzazione temporanea, anche date le prospettive ridotte di breve termine. Costruzioni, trasporti marittimi, acciaierie, avevano già alti tassi di concordati due mesi fa».
A Bruxelles si sta decidendo la forma degli aiuti ai Paesi colpiti dal coronavirus. Lei cosa preferirebbe?
«Questo dibattito tra eurobond o Mes con vincoli limitati non m’appassiona molto: è una disputa nominalistica in cui alla fine ci si fa tutti del male. Vanno identificate presto soluzioni di carattere europeo e condivise, perché l’Europa ha senso solo se sa collaborare nell’ora del bisogno. Noi abbiamo pensato a un soluzione in cui il Mes si indebiti sui mercati, e poi ricapitalizzi la Bei, che a sua volta finanzia i Paesi senza vincoli di sorta. Se il Mes emettesse titoli per 100 miliardi a questo fine, la Bei con la sua leva di oltre sei finanzierebbe 600 miliardi di progetti in Europa, circa 100 miliardi destinati all’Italia per la sua quota parte di azionista.
Fatto questo, l’Italia potrebbe trovare altre risorse da sola, valorizzando il patrimonio immobiliare, stimato tra 200 e 400 miliardi, con un’emissione di titoli destinati agli investitori istituzionali. Con tutte queste risorse l’Italia, oltre a sostenere l’economia, potrebbe perfino iniziare a pensare alle trasformazioni future, dove servirà più attenzione ai settori R&S, infrastrutture, digitale».
La Bce vi ha congelato la cedola. Saprete davvero ripristinarla?
«Mi sento di poter dire che se la riduzione del Pil italiano tenderà ad avvicinarsi a zero nella seconda parte dell’anno, con prospettive positive per l’anno prossimo, Intesa Sanpaolo sarà in grado di pagare il dividendo proposto agli azionisti. Se poi mi chiede quante banche in Europa saranno in grado di farlo, le dico che saranno poche: ma noi siamo leader in Europa per solidità patrimoniale. Aggiungo che un eccesso di capitale in banca spesso si accompagna con l’ipotesi di tagliare i costi del personale, altrimenti non si arriva a un’adeguata remunerazione dello stesso. Io non sono mai stato disposto a interventi del genere, né lo sarò in futuro. Vogliamo restare leader per solidità anche pagando le cedole. Poi, chiaro, dipende dal placet della Bce».
I soci storici continuano a rigettare la vostra offerta di acquisto su Ubi. Come finirà ?
«L’Ops è più che mai valida, andiamo avanti con grande determinazione puntando su una maggiore offerta di credito, valorizzazione delle persone e dei territori, tutela occupazionale e interventi per il sociale. Sono sempre più convinto che lo scenario bancario italiano cambierà profondamente quest’anno, e la dimensione sarà ancora più importante: per resistere alle insidie, garantire adeguata redditività agli azionisti, supportare al meglio la clientela. La gran parte dei vantaggi dell’operazione la otterremo anche in presenza di adesioni al 50% più uno del capitale di Ubi, e in quel caso saremo lieti di avere come azionisti di minoranza gli azionisti che non aderiranno.
Quando tra l’altro vedo imprenditori che comprano azioni Ubi, le mettono nei patti, pretendono di intervenire pesantemente nella governance, parlano della banca come fosse la loro, sono perplesso perché mi sembra una patologia, certamente un’anomalia: gli imprenditori azionisti che intervengono nella governance non hanno mai fatto il bene delle banche. Io ho una mentalità di mercato e preferisco pensare che sarà il mercato a stabilire ciò che è meglio per Ubi».