I l Pd ha una sola ma formidabile ragione per stringere l’accordo con i 5 Stelle: evitare il voto anticipato (oltre che salvare i seggi e per qualcuno i ministeri). Ma c’è una ragione almeno altrettanto valida che dovrebbe sconsigliarlo: non relegare l’intero Nord Italia all’opposizione. Le Regionali in Friuli Venezia Giulia non faranno che confermare il dato emerso il 4 marzo. Nel Lombardo-Veneto il centrodestra vince dappertutto, tranne a Milano centro. Non cambia molto in Piemonte e in Liguria, dove il Pd ha salvato tre collegi a Torino e i grillini altrettanti a Genova.
Persino l’Emilia un tempo rossa ha visto prevalere l’alleanza a trazione leghista da Parma a Ferrara, con il Pd che ha tenuto il collegio senatoriale di Modena per 37 voti. Di fronte a simili rapporti di forza nelle aree più avanzate del Paese, quasi certamente ribaditi dal test di oggi tra Udine e Trieste, l’idea di costruire un governo dei secondi e terzi classificati appare una forzatura ai limiti dell’azzardo.
Ovviamente ci sono anche altre ragioni. Un’intesa Pd-Cinque Stelle avrebbe numeri estremamente risicati al Senato. E aprirebbe una contraddizione difficile da risolvere nella cultura politica dei due partiti. Nell’ansia di rimuovere frettolosamente il crollo elettorale, il centrosinistra si è convinto che i suoi voti siano transitati al movimento di Grillo e Di Maio. Il che può anche essere vero, in particolare al Sud. Ma sono voti che difficilmente si prestano a essere incasellati secondo le categorie tradizionali. I Cinque Stelle non sono la nuova sinistra. Per quanto incravattati, sono e restano un movimento antisistema; non a caso la base preferisce a schiacciante maggioranza un accordo con l’altra forza sovranista, anti-establishment e anti-europea, la Lega. Per rendere meno improponibile l’apertura al nemico naturale, il Pd, Di Maio si è inventato che non di alleanza con un partito si tratterebbe, ma di un contratto nell’interesse dei cittadini: un’esercitazione lessicale degna delle pagine più misteriose della Prima Repubblica.
Dall’altra parte, il prossimo 3 maggio probabilmente la direzione Pd darà via libera a un dialogo, che non è affatto detto sia destinato a dare frutti. Accordarsi con i Cinque Stelle servirebbe solo a tamponare la crisi del centrosinistra e ad alienargli del tutto l’elettorato del Nord, garantendo una formidabile arma di propaganda a Salvini e allo stesso Berlusconi. La resa dei conti elettorali sarebbe solo rinviata; e il prezzo da pagare non farebbe che crescere.
L’alternativa non è ritirarsi sull’Aventino; è affrontare e superare le divisioni interne. Per uscire dallo stallo, anziché inventarsi una coalizione improvvisata, il Pd dovrebbe darsi una linea condivisa e un leader nuovo. Che difficilmente potrà essere un nemico di Renzi; ma non potrà neanche essere un suo prestanome.