Luigi Di Maio e soprattutto Matteo Salvini hanno ottenuto un risultato questa settimana, ma non si tratta di un accordo sul bilancio dei due vicepremier con il resto d’Europa. Quello per ora non c’è. L’ingranaggio della procedura per deficit eccessivo «basata sul debito» continua dunque a girare, in vista della conferma dei capi di Stato e di governo della Ue probabilmente già da domani. Il massimo della concessione possibile è che potrebbero slittare l’innesco formale della procedura e dunque anche la conta del tempo dopo il quale l’Italia rischia una sanzione: la clessidra forse inizierà a scorrere a febbraio, non più in gennaio.
Ma questo, per il momento, è tutto nel confronto fra Roma e Bruxelles. Il risultato che Di Maio e Salvini hanno ottenuto è piuttosto di natura tattica e durata necessariamente provvisoria: l’apertura del governo a una parziale revisione della legge di Bilancio, per quanto vaga, è riuscita a far divorziare l’approccio dei mercati finanziari da quello delle istituzioni europee. Sempre attenti a coprirsi dai rischi di una scommessa ribassista sbagliata e a cogliere le occasioni al rialzo, gli investitori hanno deciso di concedere all’Italia il beneficio del dubbio. Lo spread, il differenziale fra titoli tedeschi e italiani a dieci anni, resta sempre poco sotto i trecento punti e dunque a livelli alla lunga insostenibili. Ma la parte più breve della curva dei rendimenti del debito si è distesa molto negli ultimi due giorni, a riprova dell’atteggiamento meno negativo del mercato.
Il quadro è abbastanza sotto controllo da far pensare che l’asta di Btp a medio-lungo termine prevista il 13 dicembre sia stata cancellata ieri per ragioni ordinarie. Non si avvertono timori che il collocamento agli investitori istituzionali potesse andare male come quello del Btp Italia alle famiglie la scorsa settimana. Ma il Tesoro, già abbastanza liquido in questa fase, non vuole chiudere l’anno raccogliendo nuovi finanziamenti che farebbero salire il calcolo contabile del debito sul 2018. Neanche se sul mercato oggi avrebbero trovato condizioni forse meno tese di quelle che potrebbero crearsi da gennaio.
La Commissione Ue e l’insieme dell’area euro funzionano invece all’opposto degli investitori. Non cercano di anticipare possibili svolte a venire. Prima di concedere fiducia, aspettano che un governo dimostri con i fatti che accetta realmente le regole europee. Quanto a questo, la strada fra Roma e Bruxelles resta ancora lunga, perché le concessioni offerte dall’Italia per ora cambiano pochissimo nella sostanza.
Spostare in avanti di due o tre mesi l’avvio di programmi di spesa in deficit disegnati per diventare permanenti creerà forse qualche risparmio sul primo anno — tre o quattro miliardi, lo 0,2% del reddito — da impiegare in teoria in investimenti urgenti. Ma dal 2020 il deficit e il debito non cambiano e l’intera struttura del bilancio resta com’era quando la Commissione Ue l’ha respinta di netto. Oggi anche a Bruxelles si inizia a sospettare che forse Salvini in questa partita sarebbe più malleabile — incalzato com’è dai ceti produttivi del Nord Italia — ma se non cercasse di gestire l’intransigenza di Di Maio e di competere in populismo con lui. Il «dialogo» con Bruxelles dunque è aperto sì, ma dovrà durare ancora a lungo.