Gli investitori internazionali osservano le ormai prossime elezioni con uno sguardo di inedita quiete. Non è il frutto di un clima di fiducia: piuttosto, di indifferenza.
Ora che gli italiani si avviano verso le urne nella solita incertezza sulla tenuta del Paese, vale la pena di fermarsi un attimo e guardare indietro. È passato giusto più di un anno da quando l’Italia si trovava a fare i conti con le ultime previsioni di sventura. Carmen Reinhart, celebre per un suo libro sulle grandi crisi finanziarie, rilevava «un’accelerazione di una fuga di capitali» dai confini. Anzi, in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, l’economista di Harvard era già certa di una «crisi della bilancia dei pagamenti in corso». Leggere il Financial Times era poi anche più allarmante: «Fino a otto banche rischiano di fallire se il premier Matteo Renzi perde il referendum costituzionale».
Nessuna fibrillazioneNon è andata esattamente così. Da allora il debito estero netto dell’economia italiana, in totale, è sceso quasi a zero. Il saldo degli scambi con l’estero di beni, servizi e partite finanziarie era e resta il secondo più forte d’Europa dopo quello tedesco. Dal giorno del referendum di 13 mesi fa, Piazza Affari è salita a passo costante del 38% grazie soprattutto ai capitali esteri. Il rendimento dei titoli di Stato è sceso. E l’anno scorso l’indice bancario è salito del 12%, mentre le emergenze bancarie sono state affrontate e risolte una dopo l’altra senza troppi contraccolpi.
Anche i migliori esperti a volte hanno un programma o anche solo il desiderio di farsi notare. Ma, dopo l’esperienza dell’ultimo anno, non sorprende se l’Italia stavolta si avvicini alle elezioni in un clima un po’ diverso. Dove c’era isteria, regna uno strano silenzio. Sul voto domina una certa quiete degli osservatori, più di quanto sia accaduto attorno alle elezioni in Olanda e in Francia la primavera scorsa. I mercati finanziari avevano vissuto quei passaggi come la battaglia e la vittoria del progetto europeo sui populisti e i nazionalisti. Il voto in Italia arriva invece quasi come l’ultima scaramuccia di un confronto che, almeno per ora, sembra segnato. Sentix, l’indice degli investitori sulle probabilità di rottura dell’euro, era esploso durante la crisi greca del 2015, era andato in fibrillazione con il referendum italiano, poi prima del voto francese era salito al 18% di probabilità di frammentazione della moneta unica prima. Ora viaggia vicino ai minimi.
Ripresa blandaLa probabilità stimata dagli investitori di un’uscita dell’Italia dall’euro nei prossimi cinque anni è del 4,7%: più della Grecia (4,2%), più della Spagna (1,2%) e di qualunque altro Paese; ma al punto più basso da molti anni. Da quell’indice non si direbbe che la terza economia dell’area euro si stia avvicinando a un passaggio decisivo, mentre il primo partito nei sondaggi accarezza — a mesi alterni — l’idea di un referendum sulla moneta unica. Il premio di rischio sui titoli tedeschi è già sceso di venti punti dall’inizio dell’anno.
Naturalmente buona parte della tenuta dell’Italia si deve a una ripresa europea che sospinge anche l’ultimo vagone del convoglio: il Paese viaggia a un ritmo di crescita poco più che dimezzato, rispetto al 2,8% medio dell’area euro. Standard & Poor’s in settimana ha mostrato come la ripresa italiana sia reale, ma blanda entro un insieme molto più dinamico.
Operatori indifferentiResta dunque il dubbio che la calma dei mercati non rifletta autentica fiducia, ma indifferenza. Non sia la spia di una speranza nel ritorno pieno dell’Italia nel gioco europeo, ma di un’attesa che (per ora) qui non succeda niente d’interessante per l’Europa: né nel male, né nel bene. Altri governi europei, Parigi e Berlino in testa, potrebbero non offendersi di una certa distrazione dell’Italia mentre negoziano a due i futuri assetti dell’area euro. E un gruppo d’investitori internazionali in visita a Roma in questi giorni aveva una sola domanda per gl’interlocutori: può vincere un partito che porterà l’Italia fuori dall’euro? Poiché Lega e M5S su questo fronte sembrano in ritirata, l’interesse per il resto cade. Nessuno cerca di calcolare le probabilità di una nuova fase di modernizzazione, perché sembrano vicine zero. L’unica riforma che interessa agli investitori oggi riguarda chi, fra loro, ha comprato pacchetti di crediti bancari in default: una misura che acceleri il recupero degli immobili posti in garanzia.