Il giuramento dell’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, il primo a guida M5s e Lega nella storia della Repubblica italiana, pone fine al più lungo processo di formazione di un Governo nel nostro Paese e, per il momento, sembra anche placare l’ira sui mercati finanziari. Il rimbalzo che ieri ha accompagnato i neo ministri nel loro itinerario verso il Quirinale e che ha riguardato invariabilmente tanto la Borsa (Piazza Affari ha recuperato l’1,49% con le banche in prima fila fra le azioni più acquistate) quanto i titoli di Stato (il rendimento del BTp decennale è sceso di nuovo al 2,70% per uno scarto nei confronti del Bund pari a 233 punti base) trae origine da una sorta di «sollievo» manifestato dagli investitori.
Da una parte – sostengono gestori e analisti – l’orientamento della nuova compagine di Governo appare in teoria meno critico rispetto all’Europa e non orientato all’uscita del Paese dalla moneta unica. Dall’altra, la chiusura di una fase complessa (e lo scampato pericolo di nuove elezioni) rimuove comunque dall’orizzonte degli operatori almeno un primo motivo di incertezza. Non è certo da escludere che nuove incognite (e ulteriore volatilità) si ripropongano alla prova dei primi provvedimenti adottati. Dovranno però inevitabilmente trascorrere alcune settimane, durante le quali ci sarà chi vorrà approfittare (come negli ultimi due giorni) di quotazioni a prezzi di saldo tanto per le azioni, quanto per i titoli del Tesoro.
Il «costo» delle consultazioni
La fase delle consultazioni e delle successive designazioni, che si è protratta per ben 88 giorni caratterizzati da colpi di scena e improvvisi cambi di scenario, ha in effetti ridimensionato il valore degli asset targati Italia, e non di poco. Durante il periodo trascorso fra il 5 marzo (il lunedì successivo al voto) e il 31 maggio (il giorno in cui Conte ha accettato l’incarico) la capitalizzazione complessiva dei titoli azionari e obbligazionari italiani ha subito un’erosione di circa 83 miliardi di euro.
Volendo semplificare al massimo, si potrebbe dire che il travagliato processo che ha portato alla formazione del Governo sia complessivamente costato agli investitori (in prevalenza italiani, una buona fetta dei quali risparmiatori privati) quasi un miliardo di euro al giorno, domeniche e festivi compresi. Anche se ovviamente si tratta di un bilancio virtuale, perché chi non ha ceduto alla tentazione di vendere nei momenti di massima tensione non ha al momento ancora contabilizzato le perdite subite, e pure parziale perchè – come dimostra il rimbalzo sostenuto degli ultimi giorni – non è detto che la voragine creatasi nelle ultime settimane non possa essere ricoperta in un futuro neppure troppo distante. In una giornata come quella di ieri, tanto per fare un esempio, si sono dopotutto «recuperati» oltre 21 miliardi.
La tempesta sui BTp
È però interessante notare come la maggior parte degli effetti si siano registrati in ambito obbligazionario, e in particolare sui titoli di Stato. A lungo immuni dalle tempeste anche grazie allo «scudo» difensivo posto dal piano di riacquisti della Bce, BTp e soci sono alla fine finiti in un vortice di vendite che per certi aspetti ha rievocato a molti lo spettro dell’autunno 2011. Di quegli 83 miliardi smarriti durante il periodo della formazione del Governo, ben 71 sono addebitabili ai bond, mentre poco più di 12 sono invece i miliardi «bruciati» dalla Borsa negli 88 giorni: una riprova del fatto che quando la situazione si fa complicata la furia dei ribassisti finisce per colpire anche gli asset teoricamente più protetti.
Le perdite sulle obbligazioni (sempre se contabilizzate attraverso la vendita del titolo) fanno in genere più scalpore. Durante il periodo delle consultazioni l’indice Bloomberg Barclays Global Aggregate Italy che registra le performance total return dei titoli pubblici e corporate del nostro Paese ha perduto il 4,5 per cento: un valore questo che, se confrontato con i rendimenti medi di questi stessi titoli nel periodo precedente alla tempesta che li ha investiti, potrebbe in teoria essere equiparato alle cedole che si sarebbero riscosse nei 3 anni successivi.
Nel segno della volatilità
Altra notazione di rilievo è rappresentata dalla scansione temporale del fenomeno, che si è concentrato quasi tutto in una manciata di giorni o poco più. Piazza Affari e i BTp hanno infatti goduto di un prolungato (e per molti anche inaspettato) periodo di grazia, fino al redde rationem arrivato a metà maggio in corrispondenza del primo tentativo di formare un Governo M5s-Lega. Volendo isolare l’ultimo mese appena concluso, il conto delle perdite sarebbe ben più salato per l’investitore e si avvicinerebbe a 180 miliardi (122 miliardi sui bond e 50 miliardi per le azioni), mentre confrontando i livelli estremi raggiunti (il minimo si è toccato il 29 maggio) durante il periodo si sfiorerebbero i 230 miliardi. Volatilità estrema dunque, provocata da investitori pronti a «punire» l’Italia così come a cercarvi buone opportunità di investimento: una sfida per i risparmiatori a mantenere i nervi saldi.