Il punto su cui i partiti della maggioranza sono più d’accordo è il solo che non confesserebbero mai: il bilancio 2020 rischia di approdare in Parlamento senza identità. Lo si teme nel Pd, lo si lamenta nella nuova creatura renziana Italia viva, lo si sa fra gli M5S.
Non era quasi mai stato così negli ultimi anni, piacesse o no agli italiani o a Bruxelles. I governi del Pd avevano cercato di dare potere d’acquisto ai ceti medi, poi di incoraggiare le imprese agli investimenti. Il primo governo di Giuseppe Conte, quello di Lega e M5S, si era rivolto a una fascia del Paese che chiede protezione e assistenza. Conte nella seconda incarnazione, meno abrasiva e meno nazionalista, resta in cerca d’autore.
Una dose di lotta all’evasione, piccoli tagli a tasse e contributi su salari e stipendi medio-bassi e un po’ di equità fiscale limando gli sgravi ai benestanti sono a stadi avanzati di preparazione. Ma sia al Tesoro sia nei partiti si sa già che un pacchetto così non costituisce ancora un insieme ragionato di politica economica. Neanche con qualche tassa e incentivo verde. Al nuovo governo, semplicemente, per ora Mancano il tempo e le risorse di fare altrimenti.
È nato anche da qui il conflitto fra Pd e Italia viva sull’Iva, l’imposta indiretta sui consumi di cui il governo ha promesso di impedire l’aumento da 23,1 miliardi fissato a gennaio. Una volta compresse le spese inderogabili e «rimodulate» (cioè rinviate) varie altre uscite, serve comunque una stretta di bilancio da circa 12 o 13 miliardi per portare il deficit alla soglia massima accettabile per Bruxelles: 2,25% del Pil, arrotondato al massimo dopo difficili colloqui con Bruxelles per non farlo sembrare più alto neanche di un decimale. Una colonna portante nell’impianto proposto dal Tesoro doveva essere proprio l’Iva. Chi paga con carte tracciabili potrà avere un lieve sconto sull’aliquota, chi usa il contante invece avrebbe dovuto subire un aggravio. Doveva essere strutturato così un primo incentivo per rendere l’Italia un po’ più simile al resto d’Europa: agli ultimi dati in Italia si fanno 56 pagamenti a testa all’anno con bancomat e carte di credito o debito, il terzultimo dato più basso dell’Unione dopo Germania e Grecia. Il volume delle transazioni con carta nel 2018 era di 229,6 miliardi secondo Banca d’Italia, quello in contante di circa 700. Roberto Gualtieri, il ministro dell’Economia del Pd, aveva stime secondo cui da quella misura sull’Iva potevano venire 5 miliardi di gettito in più. Si uniscono – fra le altre misure – a una tassa per disincentivare l’uso della plastica; a 1,5 miliardi di tagli e rinvii di spesa; e a una somma simile da riduzioni progressive degli sgravi fiscali ai redditi più alti, con una soglia fissata a 100 mila euro: sarebbero coinvolte tutte le detrazioni, anche su spese sanitarie e ristrutturazioni edilizie, non i tassi sui mutui.
Proprio sull’Iva è esploso però il primo vero conflitto fra Italia viva e Pd, che lascia un vuoto notevole nelle coperture necessarie a far tornare i conti. Nell’immediato l’aumento di gettito da 5 miliardi non doveva venire infatti tanto dall’emersione del sommerso ma, in gran parte, dall’aliquota Iva più alta a carico di chi paga in contanti: non sono solo gli evasori, ma spesso tante persone dei ceti meno abbienti (mentre i ceti medio-alti godono degli più degli sconti Iva, poiché usano le carte bancarie più spesso).
Renzi nei giorni scorsi si era convinto che l’iniziativa da Gualtieri fosse un attacco del Pd a lui, dato l’ex premier in agosto aveva proposto il governo con M5S proprio per prevenire aumenti dell’Iva. Di certo, Gualtieri ha trovato questa misura già nel menù lasciato dal suo predecessore Giovanni Tria. Un aumento del gettito Iva per tagliare le tasse sul lavoro del resto è sempre raccomandato all’Italia dal Fondo monetario internazionale, da Bruxelles o dall’Ocse di Parigi. Alla fine il compromesso: il premio a chi paga con carta resta, ma salta la penalità per chi paga in contanti e con essa anche gran parte di quei 5 miliardi.
Luigi Marattin, deputato renziano, trova quel tipo di misura sbagliata «ora». Piuttosto, dice, meglio rinunciare al mini-taglio proposto da Gualtieri al costo del lavoro da 2,5 miliardi a luglio (20 euro a testa in busta paga) per far approvare una legge delega del parlamento che incarichi il governo di tagliare molto le tasse ai lavoratori nel 2021. Per allora, salvo incidenti, ci saranno più risorse. Per ora, resta una manovra in cerca di rotta.