Graduale, ma neanche tanto. La flat tax, nelle intenzioni del governo gialloverde, scatterà dal prossimo anno per le imprese e per le famiglie, e arriverà a regime in soli due anni. Con un primo modulo, quello del 2019, che dovrà essere molto consistente. Per massimizzare gli effetti positivi sui consumi e la crescita, e così ridurre il costo da mettere in conto per la riforma, Lega e M5S ragionano su uno sgravio da almeno una trentina di miliardi nel primo anno. L’operazione è complicata, e i tempi sono stretti, ma da ieri il dossier flat tax è sul tavolo del ministro dell’Economia, Giovanni Tria.
Ricevute le consegne dal suo predecessore, Pier Carlo Padoan, Tria ieri ha ricevuto la visita di Armando Siri, economista della Lega ed ispiratore della tassa piatta. Che poi tanto piatta non è già più perché le aliquote sono due, il 15 e il 20%, sopra e sotto 80 mila euro di reddito, dopo il compromesso raggiunto con il M5S nel «Contratto per il governo del cambiamento». Insieme hanno cominciato a mettere giù il piano d’azione per la riforma fiscale, che presuppone anche la sterilizzazione dell’Iva.
L’ipotesi di lasciar correre le imposte sui consumi per concentrarsi sul taglio delle tasse sui redditi, studiata dal Rettore di Tor Vergata qualche tempo fa, resta quello che è, un’ipotesi accademica. «Iva e Irpef non sono affatto alternative» ribadiscono i parlamentari M5S, e lo stesso fanno qu elli della Lega, sventolando il Contratto: «Sarebbe un colpo intollerabile per le famiglie e per le imprese». Per scongiurare l’impennata dell’Iva servono 12 miliardi di euro, che si aggiungerebbero ai 30 del primo modulo della flat tax. Una somma imponente che andrebbe coperta con altrettanti tagli di spesa o nuove entrate. «Ma anche con la crescita. Si insiste tanto a dire che con la riforma della flat tax lo Stato ci perde 40 miliardi, ma allora diciamo pure che i cittadini ne guadagnano 40. Non è che se li fumano, li spendono…» spiega il senatore della Lega, Claudio Borghi Aquilini.
Il primo passaggio sarà la risoluzione sul Def, che sarà concordata tra il governo e la maggioranza parlamentare, e che traccerà la linea da seguire in vista della Legge di Bilancio a metà ottobre. Poi bisognerà fare le Commissioni parlamentari e organizzare le squadre nei ministeri. Coi sottosegretari, viceministri e, probabilmente, nuovi dirigenti (al Tesoro, al posto del direttore generale Vincenzo La Via,già vacante, si parla di Dario Scannapieco, oggi alla Bei). Subito dopo si entrerà nel vivo della riforma fiscale.
L’obiettivo di arrivare con un progetto pronto per la Legge di Bilancio è definito da chi «arduo» e da chi «ambizioso». Di sicuro non è facile. Per le imprese ci vuole un attimo, basta ridurre l’Ires che oggi ha un’aliquota del 24% e porta un gettito di 35 miliardi l’anno. Per le persone fisiche lo sgravio va costruito anche con l’accorpamento delle detrazioni e delle deduzioni. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Uno dei problemi emersi negli ultimi giorni è come trattare, ad esempio, le detrazioni che si spalmano su più anni, nel caso si dovesse procedere alla loro razionalizzazione e sfoltimento. Nel frattempo si continua a scandagliare il bilancio alla ricerca delle coperture per la riforma, sperando che la Ue conceda almeno un po’ di margine sul deficit. Nel mirino, da qualche giorno, ci sono gli incentivi dannosi per l’ambiente, che ammontano a 17 miliardi di euro.