Nel leggere “Me non più” di Massimiliano Costa i flashbacks hanno risuonato insistentemente. Pezzi di vita, ricordi più o meno recenti, pagine permeate del passato che ritornano a galla. Passa il tempo, lo “zeitgeist” rimane; le condizioni di lavoro nelle grandi società di consulenze sembrano non cambiare. Quello che sta cambiando è il nuovo approccio al lavoro delle nuove generazioni. In questo racconto, scritto con sicurezza descrittiva e una prosa ricercata, la resistenza di stare al passo con i ritmi delle notti più buie delle altre si fa sentire. Tanto che le cd. big four (Pwc, Deloitte, Kpmg, EY) fanno sempre più fatica a trovare giovani disposti a fare i “netturbini-manager” davanti alle montagne di slide che vengono a loro richieste. Massimiliano Costa registra uno spaccato di vissuto a cui lui stesso sembra non aver trovato una soluzione. La sua denuncia presenta il conto prima di tutto sulla carta personale: fai parte di un grande meccanismo dove il prodotto del lavoro rischia di essere al di sopra del bene o del male. Qui l’Everest di slide contiene ovvietà pagate a caro prezzo senza soluzioni se non per l’eccellenza estetica, più volte evocata dai partner (comprimari, in tutti i sensi). Un’estetica che non si coniuga con l’etica. Leggendo queste pagine si ha la sensazione che il lavoro, e il suo dipanarsi lungo l’asse del tempo, non cambi mai. Ma è l’ascisse che ha preso una direzione diversa. “Me non più” è un altro frammento di quel film, sempre in movimento, che continua ad arricchirsi tra scelte di chi guarda e si sposta, e di chi guarda e si scansa.