Se il nuovo presidente di Confindustria sarà una donna, avrà il piglio di Licia Mattioli. Napoletana di origine e torinese di adozione, 52 anni, è sua la Mattioli gioielli: 70 milioni di fatturato e 260 dipendenti. In passato presidente a Torino e oggi vicepresidente per l’Internazionalizzazione al fianco di Vincenzo Boccia. È l’unica candidata donna. Da mettere in conto la ritrosia nel confermare l’interesse alla prima poltrona di viale dell’Astronomia: i candidati potranno farsi avanti solo dal 23 gennaio.
Si parla con insistenza di una sua candidatura…
«No comment. Per ora penso solo a chiudere lavorando fino all’ultimo il mio mandato di vicepresidente».
Sono molti i casi di multinazionali che lasciano l’Italia. Cosa fa Confindustria?
«Se si vuole davvero guarire il malato bisogna curarlo quando compaiono le prime linee di febbre. Per questo abbiamo firmato protocolli con diverse Regioni, dalla Toscana, al Lazio, all’Emilia Romagna, per creare un referente responsabile in ogni territorio a cui rivolgersi appena si manifesta un problema. E il metodo funziona».
La debolezza del governo in politica estera è un danno per il sistema produttivo?
«L’appoggio del governo è fondamentale. Le missioni congiunte Ministero-Sace-Simest-Ice sono state e sono molto utili. Bisognerebbe usare di più questa leva».
Come si torna a crescere?
L’appoggio del governo alle imprese è fondamen-tale: le missioni congiunte all’estero Ministero-Sace-Simest-Ice sono state molto utili. Bisogna usarle di più
«I governi di qualunque colore dovrebbero avere quattro priorità: ridurre la burocrazia, sbloccare le infrastrutture già finanziate, dare certezza della giustizia e ridurne i tempi: tutte cose che non pesano sul bilancio dello Stato».
Dopo la fusione con Psa, ha ancora senso auspicare un ritorno di Fca in Confindustria?
«Non solo ha senso ma bisogna lavorare per creare le condizioni perché ciò avvenga. Non è impossibile».
La stagnazione è figlia del fatto che le imprese hanno preferito competere sui prezzi invece di investire?
«Non credo. Anzi, negli ultimi anni, anche grazie a Industria 4.0, le imprese hanno investito e sono diventate più competitive».
In Confindustria con lei ci sono altre due vicepresidenti e un direttore generale donne. Cosa avete portato all’organizzazione?
«In Confindustria le donne sono ancora poche. Le discriminazioni non c’entrano. Piuttosto conciliare famiglia e lavoro è già difficile, quando si aggiungono impegni associativi diventa quasi impossibile. Ma una giusta combinazione di uomini e donne è vantaggiosa dovunque».