È una breve lezione di diritto costituzionale a uso di un gruppo di studenti, ma suona come un inequivocabile richiamo ai novizi della politica. Quelli che ogni giorno equivocano tra i poteri attribuiti loro dal voto e i poteri attribuiti ad altre autorità, tutelate dalla nostra Magna Charta in un sistema di pesi e contrappesi predisposto «a garanzia di tutti». Un gioco pericoloso. Forse frutto di ignoranza giuridica e superficialità o forse studiato per additare nuovi nemici a un’opinione pubblica smarrita all’idea che le promesse elettorali possano di colpo evaporare.
L’intervento di pedagogia istituzionale che Sergio Mattarella si è concesso ieri davanti a un gruppo di liceali saliti a trovarlo al Quirinale, per quanto non facesse riferimento diretto alla politica, è destinato a pesare soprattutto nel braccio di ferro ingaggiato dal governo con chiunque muova obiezioni ai provvedimenti in cantiere. Una prova di forza che, come ultimo atto, ha registrato dure polemiche contro i vertici di Bankitalia, culminati nel diktat del vicepremier Di Maio: «In Via Nazionale non piace la nostra manovra? Allora si candidino».
Non posso lasciar passare ragionamenti del genere, deve essersi detto il capo dello Stato. Di qui l’intervento in punto di diritto, ma tradotto con semplicità, spiegando che la Costituzione ha assicurato «una condizione di equilibri». È questa la chiave del «patto che ci lega» e che «consente di superare difficoltà e garantire l’unità della società, anche perché ha creato un sistema in cui nessuno, da solo, può avere troppo potere». Insomma: «C’è un sistema che si articola nella divisione dei poteri, nella previsione di autorità indipendenti, autorità cioè che non dipendono dagli organi politici ma che, dovendo governare aspetti tecnici, li governano prescindendo dalle scelte politiche, a garanzia di tutti».
Traducendo: la democrazia, in Italia e ovunque in Occidente, ha un impianto più articolato e complesso di come si pretende di rappresentarla. Aver vinto le elezioni non ti fa comandare, ti fa governare. Che è cosa ben diversa dalle smanie di autoritarismo. Così, non è lecito ad esempio attaccare l’Ufficio parlamentare di Bilancio (UpB) se esprime un parere negativo sul Documento economico e finanziario, dato che quel parere è previsto: semmai lo si respinge. Lo stesso vale per l’Autorità anticorruzione che rimarca certe criticità del decreto per Genova e per i tecnici dei ministeri messi senza rispetto sotto accusa dai due «soci» dell’esecutivo, Di Maio e Salvini.
Ecco le regole, lo schema dei check and balance, secondo la sintesi degli anglosassoni. I costituenti le vollero per un motivo preciso, dice il presidente. «La storia insegna che l’esercizio del potere può provocare il rischio di far inebriare, di perdere il senso del servizio e di fare invece acquisire il senso del dominio…». Rispetto a quel pericolo ci sono due antidoti. Il primo è «personale» e prevede «una capacità di autodisciplina, di senso del limite, del proprio limite come persona e come ruolo che si esercita… un senso di autocontrollo e perfino di autoironia». Il secondo antidoto è «quello dei meccanismi di equilibri che distribuiscono funzioni e compiti del potere tra più soggetti, in maniera che nessuno ne abbia troppo» e prevalga sugli altri.
C’è infine un altro snodo politico importante, nella lezione del presidente.Lo accenna quando gli studenti gli chiedono quanto sia difficile il suo lavoro. La sua replica da un lato relativizza le asprezze del presente: «Quando penso alle difficoltà, penso agli anni Settanta, il decennio del terrorismo, degli attentati, delle bombe con cui vennero assassinate moltissime persone, spesso tra le migliori della Repubblica». Dall’altro lato aggiunge un passaggio in cui per la prima volta dice di essere «il garante del buon funzionamento del sistema» e, insomma, «della Carta costituzionale»: rivendicazione mai fatta con questa forza.
Domanda di chiusura: il governo avrà capito il messaggio? A parte l’enigmatico «bellissime parole» pronunciato da Salvini, chi vorrebbe commentarlo sembra il ministro Paolo Savona. Il quale però, interrogato dai cronisti, allarga polemicamente (ed eloquentemente) le braccia: «Meno parlo, meglio è…».