Sarà una manovra con «riforme strutturali a favore della competitività del sistema-paese», promette il premier Conte alla fine del vertice di ieri sulla legge di bilancio. Ma numeri e confini delle legge di bilancio devono ancora trovare un punto di equilibrio, come dimostra il fatto che l’incontro è stato aggiornato a oggi prima del consiglio dei ministri pomeridiano. E c’è ancora della strada da fare per far incontrare le esigenze dei due azionisti di maggioranza, dalle pensioni in forma leghista al reddito di cittadinanza spinto dai Cinque Stelle, e quelle del bilancio rappresentate dal ministro dell’Economia Giovanni Tria, atteso domani a Vienna per l’Eurogruppo e l’Ecofin informale. Sui tavoli del confronto, che anche ieri ha conosciuto momenti di tensione, la manovra oscilla fra i 26-7 miliardi della sua versione più leggera agli almeno 30 delle ipotesi più “ambiziose”.
Il numero chiave su cui l’intesa è ancora da trovare resta quello del deficit. Archiviati gli slanci delle settimane scorse su sforamenti o «sfioramenti» del 3%, il tiro alla fune oscilla ora intorno a quota 2%. Per Tria è una soglia da non raggiungere, mentre Salvini e Di Maio non escludono di superarla sensibilmente se necessario a far partire le misure chiave. La discesa dello spread a quota 255, dodici punti meno di martedì, misura la reazione degli investitori alle rassicurazioni fornite ieri nell’intervista al Sole dal leader della Lega Matteo Salvini, a cui si è aggiunta a stretto giro la presa di posizione di Di Maio: «Il nostro obiettivo – ha detto il vicepremier uscendo dal vertice di Palazzo Chigi – non è sfidare l’Europa sui conti, ma realizzare i punti del programma».
Ma proprio qui arriva il punto. La griglia ipotizzata dal titolare dell’Economia poggia sul perno del «non peggioramento» del deficit strutturale rispetto ai livelli di quest’anno. I documenti di finanza pubblica parlano ancora per il 2018 di un 1%, ma anche questa cifra andrà rivisto per la frenata della crescita. Il dato da «non peggiorare» l’anno prossimo, quindi, potrebbe salire nella NaDef in arrivo verso quota 1,1-1,2%: da un lato questo movimento “aiuta” perché alza la soglia di riferimento, ma dall’altro è un problema perché carica sul 2019 una quota aggiuntiva di indebitamento. Mentre non è ancora chiusa la partita con Bruxelles sulla correzione dei nostri conti di quest’anno: i 5 miliardi (0,3%) del Pil di sforzo aggiuntivo calcolati dalla Ue non sono infatti archiviati, ma solo rinviati al 2019. L’economia in raffreddamento, però, modifica anche l’output gap e addolcisce un po’ la correzione richiesta.
Su questo equilibrio fragile pesano le parole d’ordine dei due partiti giunti al primo appuntamento vero con l’attuazione del contratto di governo. Per garantire a tutti il pensionamento con «quota 100», come da rilancio di Salvini, servono per esempio tra i 6 e gli 8 miliardi di euro. Dal canto loro i Cinque Stelle non possono ipotecare un avvio concreto del reddito di cittadinanza, che rappresenta una delle loro ragioni sociali. L’obiettivo minimo è di garantire una forma di sostegno a tutti i gli oltre 5 milioni di cittadini sotto la soglia di povertà: i costi dipendono dalla declinazione di questo aiuto, ma per misurarli va considerato che l’estensione dell’attuale reddito di inclusione a tutta la platea costerebbe intorno ai 4 miliardi.
Ma in tempi di crescita al rallentatore l’intervento deve essere «anticiclico», come sostenuto in tutte le occasioni da Tria e ribadito ieri da Conte parlando di «manovra nel segno della crescita nella stabilità». L’obiettivo, cruciale per il Paese, è utile anche per far quadrare i conti della finanza pubblica mettendo in programma qualche decimale di crescita in più di quella che si realizzerebbe senza interventi espansivi. A questo obiettivo risponde la conferma di iper e super-ammortamento, il possibile taglio del cuneo riservato alle imprese 4.0, la decontribuzione allo studio almeno per le nuove assunzioni nel Sud e l’avvio della riforma fiscale per Pmi e partite Iva. In arrivo c’è poi lo sblocco integrale dei fondi congelati nei bilanci degli enti locali dalle regole del pareggio di bilancio, anche se in un incrocio pericoloso con la sospensione del bando periferie (vanno coperti con circa un miliardo). Ma a far lievitare il conto restano i 12,4 miliardi di aumenti Iva da evitare, e gli almeno 2-3 miliardi di spese indifferibili. Prima di tracciare la riga finale, poi, occorrerà calcolare la spesa aggiuntiva per gli interessi sul debito: anche con i numeri più “tranquilli” registrati ieri, lo spread resta oltre 100 punti sopra i livelli di fine marzo.