Se c’è qualcosa che Giovanni Tria non vuole, è dare l’impressione di decidere della finanza pubblica nei tempi sbagliati. Anticipare il disegno della legge di Bilancio, secondo quanto filtra da persone vicine al ministro dell’Economia, non fa che complicare la soluzione di un rebus già di per sé difficile. Sembra dunque inevitabile che la spinta del vicepremier Matteo Salvini per aprire e chiudere in estate il confronto sul bilancio 2020 — per far passare una misura che poi si possa chiamare «flat tax» — non dia risultati. Tria controlla i dati del bilancio attraverso la Ragioneria o il dipartimento delle Finanze, inclusi nel suo ministero, e il ministro è deciso a lavorare nei tempi soliti: durante l’estate si studiano le misure mentre si inizia a sapere sempre di più sulle entrate fiscali e l’andamento dell’economia; nella seconda metà di settembre il governo pubblica gli obiettivi; a metà ottobre vara la proposta di legge di Bilancio, che la Commissione Ue giudica a inizio novembre. Difficile dunque che la Lega o M5S riescano a produrre fatti compiuti prima di un confronto serio sui conti e sulle implicazioni di qualunque idea di «tassa piatta».
La matematica in vista del 2020 continua infatti a essere fragilissima. Tria resterebbe a favore di una riduzione della pressione fiscale sulle persone in Italia e già l’anno scorso il ministro aveva indicato un percorso: si sarebbe potuto arrivare a una «flat tax» sulle famiglie ancorando l’obiettivo di deficit all’1,6% del prodotto lordo (Pil) per il 2019, a patto di aumentare il gettito Iva di tre o quattro miliardi. All’epoca la Lega preferì puntare tutto sulle pensioni anticipate («quota 100»), mentre M5S reclamava il reddito di cittadinanza. Oggi quelle due misure sono destinate a costare poco più di 12 miliardi l’anno a regime e la crescita viaggia intorno a zero.
Sono queste le grandezze che complicano il lavoro del governo nei prossimi mesi. Va detto che il punto di partenza del deficit sarà migliore dello 0,3% del Pil rispetto a ciò che sembrava possibile anche solo due mesi fa: la calma sul mercato (se dura) permette al Tesoro di risparmiare circa due miliardi in interessi sul debito nel 2020, mentre i risparmi su «quota 100» e reddito di cittadinanza liberano circa altri tre miliardi.
Ma è giusto un po’ di rincorsa prima di una grande salita. Nella sua audizione del 16 luglio, il presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Giuseppe Pisauro ha mostrato quale sia l’equazione che il Paese di trova davanti: senza interventi il deficit del 2020 è diretto molto vicino al 3%, se Salvini e i 5 Stelle confermano l’intenzione di non far scattare neanche partono gli aumenti dell’Iva da 23 miliardi già decisi per legge dal primo gennaio. Dunque l’aumento del deficit rispetto a quest’anno sarebbe di quasi un intero punto di prodotto lordo.
A questa soglia vanno poi sommati pochi miliardi ancora da finanziare per gli stipendi degli statali e altre spese correnti e d’investimento, ma soprattutto le nuove promesse di Lega e M5S. Una «flat tax» da dieci miliardi e altre misure chieste dai 5 Stelle per compensare le imprese dell’aumento dei salari minimi avrebbe un risultato certo: far esplodere il deficit molto oltre il limite del 3%, esporre l’Italia a un nuovo conflitto con il resto dell’Unione europea e a un’instabilità di mercato che può solo far riesplodere la traiettoria del debito e i suoi costi di finanziamento. Ma Salvini e M5S hanno già mostrato che, messi alla prova, una prospettiva del genere li spaventa. A dicembre scorso e poi di nuovo in giugno non hanno avuto la forza di tenere ferma la barra di una politica di bilancio disegnata contro Bruxelles e i mercati.
È anche per questo che Tria evita ogni polemica personale con Salvini, malgrado le provocazioni di quest’ultimo («o lui o io»). Il ministro sa che in autunno i partiti di maggioranza saranno posti di fronte a un’assunzione di responsabilità, perché i due miliardi di tagli alle spese ufficialmente previsti fino a oggi non bastano più. Servono nuove sforbiciate a molte più voci di bilancio, non solo a qualche sgravio fiscale. Il ministro ci lavora già con il suo vice leghista Massimo Garavaglia e con il sottosegretario, anche lui leghista, Massimo Bitonci.
Anche così lo spazio per i tagli di tasse nel 2020 resta minimo. Ma presto toccherà ai leader politici decidere cosa preferiscono: sposare la linea del realismo subito, o solo dopo aver fatto sbandare il Paese come un anno fa.