Alla vigilia del varo del programma sui conti, lo scontro sul decreto per Genova tra via XX Settembre e Palazzo Chigi è la cartina di tornasole del clima di confusione che regna nel governo, dove alle «spinte rivoluzionarie» dei grillini — come le definisce un ministro della Lega — sul provvedimento per il capoluogo ligure, si contrappone un atteggiamento più pragmatico del Carroccio. Il problema non è tanto la copertura economica, ma il resto.
Il resto, per esempio, sono le urla di Giorgetti verso gli alleati a Cinque Stelle che mirano a nazionalizzare Autostrade: «Ma lo sapete che lì dentro ci sono anche un fondo americano e uno cinese? Dopo chi ce li compra i titoli di Stato?». Ed è solo uno degli interrogativi che si affollano sul testo. Il Quirinale attende di riceverlo prima di giudicarlo, ma è un fatto che l’altro ieri Mattarella — in visita a Genova — si sia espresso in modo sibillino con le autorità locali, che gli rappresentavano l’urgenza di un intervento: «Non mi sfuggono certi aspetti delicati del decreto».
Paradossalmente il caos sul caso Genova vien utile ai partiti della maggioranza per coprire le tensioni sulla manovra. Se Salvini non segue la linea barricadera di Di Maio contro le strutture del Mef, è perché il leader della Lega si è assicurato per grandi linee la copertura degli obiettivi a cui mira: a cominciare da una sforbiciata della Fornero che — sondaggi alla mano — è in cima alle priorità dell’opinione pubblica. In più Salvini usa la cosiddetta flat tax alle imprese (in realtà uno sgravio alle piccole partite Iva) per calmare quella parte di imprenditori che l’ha votato e che si lamenta con lui per il reddito di cittadinanza. Proprio l’aspetto della manovra che continua a provocare le fibrillazioni di M5S: fonti autorevoli della maggioranza sostengono che ad ostacolare il provvedimento caro ai grillini non solo ci sarebbero i soliti problemi di «adeguata copertura», ma anche «precise indicazioni» giunte dal Colle perché i saldi di bilancio siano tutelati.
Il ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, è sicuramente seccato per le parole del vice premier Di Maio verso la struttura ministeriale. Alcuni si sarebbero aspettati un intervento pubblico del ministro Tria a difesa di Franco e dell’ «imparzialità» delle strutture tecniche del dicastero. Ma le incertezze di palazzo Chigi sul decreto per Genova hanno consentito agli uomini del Mef di servire il piatto della vendetta bollente: non si era mai letta una dichiarazione in cui via XX Settembre definisce «molto incompleto» un testo trasmesso dalla presidenza del Consiglio .E il clima lì non dev’essere proprio dei migliori, se tra loro i ministri della Lega ridono di gusto immaginando di cogliere Giorgetti in una stanza, mentre mette le mani al collo di Conte e gli dice: «E firma,firma! Quante volte ancora devi leggerti queste carte?». È un siparietto che serve agli esponenti del Carroccio per scaricare un crescente malcontento verso i grillini, sebbene Salvini sia stato chiaro: «Non voglio casini. Si va avanti con questo governo». E passi che anche il ministro dell’Interno abbia dovuto ingoiare un rospo, posticipando la presentazione del decreto sicurezza: il confronto piuttosto teso con Di Maio non è passato inosservato nel governo.
Ma alla fine l’accordo sulla manovra ci sarà, per un obiettivo di deficit nel 2019 all’1,8% o all’1,9% del prodotto lordo. La Lega, al 30% nei sondaggi e fortissima nell’opinione pubblica sul tema dell’immigrazione, non ha motivo di rischiare ancora più instabilità finanziaria attorno al bilancio pubblico. La sua base elettorale di risparmiatori e piccoli imprenditori che vivono di credito bancario non lo capirebbe. Tra il titolare dell’Economia che punta a un disavanzo non oltre l’1,6% del Pil nel 2019 e M5S che vorrebbe finanziare il reddito di cittadinanza in deficit, perché ha disperatamente bisogno di una vittoria, il compromesso cadrà vicino all’area presidiata da Tria. In fondo ha pesato anche che Mattarella abbia fatto sentire il suo sostegno alla struttura tecnica del dicastero su cui si era scaricata la frustrazione grillina con gli attacchi a Franco.
Che ciò basti a sminare il terreno davanti al governo però non è detto.Almeno non ancora. Probabilmente sarà così nell’immediato, nel rapporto con i mercati. Gli investitori avevano venduto il debito dell’Italia in estate dopo aver ascoltato dichiarazioni di ogni tipo: temevano che il deficit sarebbe salito persino sopra al 3% del Pil. Una volta evidente che non ci saranno veri sfondamenti, ma un livello stagnante di disavanzo che promette una lieve discesa del debito anche nel 2019, andrà in scena un ritorno tattico sulla carta italiana per qualche mese. Blackrock, il più grande investitore al mondo con 6.300 miliardi di dollari in gestione, l’ha già capito e fatto sapere: il suo vice-capo degli investimenti sul reddito fisso, Scott Thiel, ha annunciato infatti che il gruppo americano prenderà una posizione rialzista sull’Italia perché il quadro sul bilancio evolve «verso una soluzione molto più ragionevole» .
N on è detto però che basti a distendere i rapporti fra Roma e la Commissione Ue. Tutti a Bruxelles hanno preso nota che Conte aveva omesso un atto il 29 giugno scorso: il premier non aveva posto riserve né aveva contestato — quindi secondo alcuni a Bruxelles aveva controfirmato — le raccomandazioni della Commissione all’Italia, che non ha posto né veti né riserve nel momento in cui il vertice dei leader Ue ha fatto proprio quel testo. Peccato che quelle raccomandazioni chiedano a Roma per il 2019 una riduzione dello 0,6% del deficit cosiddetto «strutturale», quello cioè calcolato al netto delle misure una tantum e delle oscillazioni temporanee della crescita. Significherebbe, se interpretato alla lettera, che il deficit dovrebbe scendere verso l’1% dall’anno prossimo. Fra l’altro le raccomandazioni Ue chiedono anche di ridurre, non aumentare, la spesa per le pension i.
Ovviamente non accadrà nulla di tutto questo. Ma l’insistenza di Tria per tenere il deficit almeno all’1,6% si spiega proprio con quel passaggio: quella è la soglia minima per permettere un calo almeno dello 0,1% del deficit «strutturale» che metterebbe al sicuro l’Italia dal rischio che la Commissione respinga subito la Legge di stabilità e dia due settimane al governo Conte per riscriverla. Un deficit all’1,8% o all’1,9% implicherebbe potenzialmente un lieve peggioramento di questo saldo «strutturale», dunque scoprirebbe il fianco a una procedura per deficit eccessivo.Si arriverebbe così a uno scontro politico fra Bruxelles e l’Italia. Ed è una tentazione latente nella Commissione Ue, per varie ragioni. La prima è che non si vuole far vedere che una strategia di critiche e attacchi continui come quella del governo di Roma verso Bruxelles paga: in agosto, Salvini aveva attaccato l’«austerità dell’Europa» persino per il crollo del ponte di Genova. La seconda ragione è che se Bruxelles desse disco verde a una palese violazione, potrebbero esserci contraccolpi di segno anti-europeo in altri Paesi. In Germania la destra radicale di Afd, nata contro i salvataggi dei Paesi del sud Europa, è già il secondo partito ed è sopra ai livelli della Lega al 4 marzo. Un deficit all’1,8% o all’1,9% rappresenta dunque una (timida) sfida. La scommessa è che alla fine Bruxelles non reagirà per non infiammare una campagna anti-Ue in Italia in vista del voto europeo di maggio.