A Bruxelles continuano a ripetere c’è «grande disponibilità» a lavorare con il governo per trovare «la migliore soluzione per tutti». Ma il sentiero da percorrere rimane stretto. Perché l’Italia – ricordano – «ha preso impegni precisi». E sul fronte della flessibilità nulla è scontato: tutto dipenderà dall’approccio politico di Ursula von der Leyen. Che al momento rimane un’incognita persino per chi lavora negli uffici della Commissione.
I numeri della nota di aggiornamento al Def saranno esaminati con molta attenzione dai tecnici dell’esecutivo Ue, anche se il vero documento da passare ai raggi X sarà la bozza di bilancio (attesa entro il 15 di ottobre). E l’osservato speciale non sarà il deficit nominale, da sempre al centro del dibattito mediatico: non basterà un 2% per dire che i conti tornano o un 2,5% per dire che sono fuori traiettoria. Il parametro usato per misurare la “conformità” della manovra alle regole Ue resta il deficit strutturale, ossia il disavanzo calcolato al netto del ciclo economico e delle misure una tantum. Vero, presto potrebbe essere accantonato. Ma non nell’immediato: il giudizio sulla manovra italiana si baserà ancora su quel valore.
A Bruxelles ricordano che l’Italia ha preso un impegno molto chiaro il 2 luglio scorso. Nella lettera firmata dall’allora ministro Tria e dall’attuale premier Giuseppe Conte c’è scritto che, per quanto riguarda i conti del 2020, Roma «ribadisce il suo impegno a conseguire un miglioramento strutturale». Il che vuol dire che il saldo strutturale dovrà diminuire. Le raccomandazioni Ue impongono infatti una riduzione del deficit pari allo 0,6% del Pil: nessuno si aspetta un simile sforzo da Roma, ma è chiaro che senza un miglioramento minimo (anche dello 0,1%) la «grande disponibilità» di Bruxelles potrebbe non bastare. In teoria il governo italiano potrebbe far leva su un altro fattore, legato alla congiuntura economica negativa: il divario tra la crescita reale e quella potenziale. Se la differenza (nota come output gap) fosse maggiore dell’1,5%, l’Italia sarebbe in un «periodo negativo» e dunque la richiesta iniziale dello 0,6% scenderebbe allo 0,25%. Ma le stime della Commissione indicano un valore dell’output gap molto inferiore. È una strada difficile da percorrere.
I margini di flessibilità
Dunque senza una minima riduzione strutturale la bocciatura sarà inevitabile? Calma. Perché c’è poi il discorso legato alla flessibilità, ossia le spese per le quali l’Italia intende chiedere lo scorporo dal deficit. Si è parlato degli investimenti verdi, però non ci sono ancora certezze. Teoricamente Roma ha esaurito i suoi margini di sconto, ma tutto dipenderà dalla trattativa politica. E su questo chi ora a Bruxelles si occupa del dossier alza le mani. Perché la Commissione di Jean-Claude Juncker avrà il dovere di fare il primissimo esame sulla bozza di manovra per poi, eventualmente, rispedirla al mittente già entro fine ottobre (scenario teorico: non succederà). Ma spetterà al prossimo esecutivo Ue, quello di Ursula von der Leyen e di Paolo Gentiloni, dare il giudizio definitivo (intorno alla terza-quarta settimana di novembre). È con quella Commissione che andranno negoziati i margini per avere maggiore flessibilità. Si sa come la pensa Gentiloni e si sa come la pensa Valdis Dombrovskis. La vera incognita sarà l’atteggiamento della nuova presidente.