«Per i danni del maltempo e non perché ce lo chiede Bruxelles», ma la manovra di bilancio per il 2019, duramente criticata dalla Commissione Ue potrebbe cambiare, ma solo di poco. E al momento il deficit programmatico del 2019 rimane al 2,4%, con l’obiettivo di crescita dell’economia che resta confermato all’1,5%. «Le nostre ragioni mantengono tutta la loro validità». Il governo come si legge nella lettera inviata ieri notte a Bruxelles mantiene la linea dura nei confronti della Commissione Ue, anche se nello stesso giorno rimedia una sonora sconfitta al Senato, dove la maggioranza viene battuta per la prima volta sul condono di Ischia.
A modificare la manovra potrebbe essere il nuovo capitolo di spesa inserito ieri dall’esecutivo. Sono gli interventi per far fronte al dissesto idrogeologico e al maltempo, valutati in 5 miliardi, e che il governo chiederà di scomputare dal disavanzo in quanto «eccezionali». Il deficit potrebbe così essere ridotto dal 2,4 al 2,2% del prodotto interno lordo, tornando in zona sicurezza. Nello stesso tempo il governo si impegna a rafforzare l’incasso delle privatizzazioni, comprese quelle immobiliari. L’obiettivo è di fare 18 miliardi di euro nel triennio, per accelerare la flessione del debito (al 126 % del pil nel 2021). E c’è l’impegno a tenere bloccato il deficit con una clausola automatica di controllo sulla spesa.
Per il momento sono tutte qui le concessioni dell’esecutivo, che ieri ha incassato altri due brutti colpi. Lo schiaffo del Senato sul condono, e la bocciatura della manovra da parte del Fondo Monetario, che vede il deficit del 2019 al 2,6% (il governo dice 2,4%, la Ue si spinge al 2,9%), il debito stabile a quota 130% del Pil per il triennio, con una crescita dell’economia intorno all’1%, e considera la manovra poco efficace, se non rischiosa.
Non è affatto detto che le aperture del governo bastino a tranquillizzare Bruxelles, che ha ricevuto ieri dal governo anche la lettera con cui si spiegano i «fattori rilevanti» che hanno impedito una discesa più veloce del debito pubblico. «Se va bene all’Europa siamo contenti, sennò tiriamo dritti» ha sottolineato Salvini a margine del Consiglio dei ministri che, a tarda sera, ha formalizzato la risposta «di attacco e non di difesa», alle osservazioni Ue.
Il compromesso raggiunto poche ore prima nel corso di un vertice tra Tria, il premier Giuseppe Conte, e i due vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, è comunque un piccolo passo avanti per il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che aveva spinto al massimo per un accordo. Anche se non è riuscito a far digerire ai due azionisti di maggioranza dell’esecutivo una revisione al ribasso della crescita attesa nel 2019 per l’impatto della manovra, che avrebbe reso tutto l’impianto più credibile e coerente. Per tener conto dell’ulteriore rallentamento dell’economia, Tria avrebbe preferito ritoccare l’1,5% programmato per il 2019, ad un più credibile 1,3-1,4%. Ma non c’è riuscito, nonostante in mattinata avesse affermato con forza che «il tasso di crescita non si negozia, è il risultato di una valutazione squisitamente tecnica».
Dopo le decisioni di ieri, quanto meno, resta aperto il dialogo con l’Europa, molto preoccupata per l’impostazione della manovra italiana, che il New York Times definisce il primo vero assalto «all’ordine del blocco», capace di riaprire il dibattito sull’opportunità dell’austerity. «Chi pensa di poter risolvere i problemi da solo, creando nuovo debito, mette in discussione la forza e la stabilità dell’Europa» ha ricordato ieri il cancelliere tedesco, Angela Merkel. «È importante — dice ancora Merkel — giungere a una soluzione nel dialogo con la Ue». Pressioni perché la manovra venga modificata in modo ancor più radicale continuano ad arrivare anche sul fronte interno. «Speriamo che il governo e il parlamento possano correggere le criticità della manovra» ha detto il presidente della Confindustria, Vincenzo Boccia, ricordando preoccupato il nuovo rallentamento dell’economia.