Nonostante i mesi passati a lanciare proclami contro l’«austerità», l’Italia realizzerà nel 2019 quello che il ministro dell’Economia Tria ha definito giovedì al Senato «il più forte aggiustamento strutturale degli ultimi anni». La vittoria operativa della linea Tria-Conte, tradotta nella decisione di blindare nei saldi di finanza pubblica le minori spese per reddito di cittadinanza e quota 100, è stata decisiva per evitare l’apertura della procedura d’infrazione. E tornerà a rivelarsi cruciale fra qualche settimana, quando si tratterà di definire l’impianto della prossima manovra: per due ragioni, nel solito doppio binario tecnico e politico che guida i confronti con Bruxelles.
Sul primo aspetto, se l’Italia riuscirà a realizzare una correzione strutturale da 3-4 decimali di Pil, per i calcoli che guidano il braccio preventivo del Patto di stabilità il risultato si potrebbe tradurre in circa due decimali di “flessibilità” aggiuntiva per il prossimo anno, dal momento che almeno una parte del miglioramento andrà a compensare lo sforamento 2018. In termini pratici, la richiesta di correzione per l’anno prossimo si alleggerirebbe di circa 4 miliardi. E in termini politici questa possibilità è resa concreta proprio dalla mancata apertura della procedura d’infrazione, che in caso di avvio avrebbe sgombrato il campo da qualsiasi trattativa.
Lo scenario senza procedura rimette poi in gioco la clausola degli «eventi eccezionali» che Roma ha già chiesto quest’anno, e ha intenzione di richiedere il prossimo. La clausola, che esclude 3,2 miliardi (0,18% del Pil) di spesa dai calcoli del saldo strutturale, agisce in due sensi: la verifica ex post sul 2019, se positiva, taglierebbe di un altro 0,18% il deficit strutturale italiano di quest’anno, e la trattativa sul 2020 potrebbe ridurre di altrettanto le risorse da trovare per far quadrare i conti della manovra. In tutto, insomma, il «bonus» da mancata procedura arriverebbe a 6 miliardi. I calcoli sono cervellotici, ma hanno ricadute politiche immediate in una maggioranza che finora è riuscita a far convivere le parole bellicose nei confronti della Ue dei vicepremier Salvini e Di Maio e le azioni di ricucitura portate avanti dal premier Conte e dal ministro dell’Economia. «La manovra avrà un pesante taglio di tasse – è tornato a ripetere ieri il leader della Lega – e se l’Europa ci dirà di no lo faremo ugualmente». Tenere insieme questa linea e la nuova correzione dei conti appena promessa a Bruxelles rimane difficile. Ma sarebbe stato praticamente impossibile senza i nuovi numeri realizzati con assestamento e decreto salva conti e senza chiudere l’accordo con la Ue.
Anche perché lo stop alla procedura, arrivato all’indomani dei rilanci di politica monetaria da parte del presidente Bce Mario Draghi, ha tagliato drasticamente i rendimenti dei titoli di Stato. Il Btp decennale oggi viaggia poco sopra l’1,7%, mentre le stime della spesa per interessi scritte nel Def erano state elaborate in un periodo di tassi tra il 2,5 e il 2,6%. Una dinamica di questo tipo, che si riflette su tutta la curva delle scadenze, potrà tagliare di oltre un miliardo le previsioni di spesa dell’anno prossimo, e far crescere i risparmi negli anni successivi.
Su questa base più solida si innestano i miglioramenti dei conti che l’assestamento ha solo iniziato a registrare. Perché le entrate fiscali extra rispetto alle previsioni, limitate a 750 milioni nelle tabelle mandate alla commissione, puntano in realtà a due miliardi sotto la voce «fatturazione elettronica» come mostra la pagina a fianco; e le minori spese per reddito e pensioni, indicate negli 1,5 miliardi già messi sotto chiave dal decreto salva conti, dovrebbero in realtà arrivare a tre miliardi. Questo significherebbe un deficit reale intorno all’1,9% quest’anno, e soprattutto produrrebbe un effetto trascinamento importante sul 2020. Quando i “risparmi” sulle due misure dovrebbero arrivare a 5-6 miliardi, che insieme alle nuove entrate strutturali e ai risparmi da spread creerebbero un cuscinetto vicino ai 10 miliardi (Sole 24 Ore di giovedì). Con un bonus complessivo, quindi, che tra miglioramenti effettivi e flessibilità può arrivare a 16 miliardi. Risultato: fra Iva da fermare, riforma fiscale da avviare, deficit da ridurre e spese obbligatorie da finanziare il conto originario della manovra era già volato a 40-45 miliardi. Nel nuovo scenario scende a 30-35, con 6 miliardi di possibile flessibilità da sfruttare. Il compito resta impegnativo. Ma non impossibile a priori.