Da anni leggiamo della centralità del fattore umano e di come sia indispensabile alla crescita delle aziende. Forse è il momento di chiedersi se realmente, in questo momento di forti cambiamenti, il «capitale umano» sia allineato alle sfide in essere. La risposta che viene dall’osservazione quotidiana è assolutamente negativa. Una componente importante dei manager, probabilmente maggioritaria negli over 50, si sente inadeguata alle sfide che si trova ad affrontare. Il fenomeno è particolarmente accentuato nelle piccole e medie aziende non collegate a gruppi internazionali, e l’elemento scatenante è sicuramente identificabile nella rivoluzione tecnologica. L’accelerazione dei cambiamenti si trasforma in scenari inimmaginabili fino a pochi anni fa e richiede un aggiornamento soprattutto culturale. La velocità è tale da rendere quasi impossibile il costante adeguamento delle competenze alle necessità di un manager di interpretare e gestire il proprio business. Occorre quindi agire su più livelli: la formazione, con il supporto delle aziende e del mondo universitario, in un costante allineamento alle competenze richieste dal mercato; la centralità dei giovani come portatori di competenze, unite a una forte responsabilizzazione e autonomia in modo da consentire loro di incidere nel cambiamento; la valorizzazione dei «senior» in ambito di supporto e affiancamento, assicurando il loro contributo in termini di esperienza ma limitandone il potere di interdizione. È così, attraverso la contaminazione intragenerazionale e il superamento di un modello di formazione incentrato sulla dualità individuo-azienda, che il capitale umano potrà tornare a essere un vero fattore di crescita per le imprese e il sistema Paese.
*Managing Partner Glasford International Italy