«Non possiamo attendere i tempi della giustizia penale». In realtà di tempo ne è passato. Quasi un anno. Eppure quella frase del premier Giuseppe Conte, sibilata subito dopo il crollo del Ponte Morandi, torna prepotentemente di attualità in queste ore. Perché il governo, almeno nella sua componente pentastellata, si prepara a muovere contro il gruppo Benetton avviando concretamente, dopo tanti annunci, la revoca della concessione autostradale. E lo fa mentre la magistratura non ha ancora stabilito le cause del crollo, è in corso un secondo incidente probatorio, e nonostante il ministero dei Trasporti non abbia rivolto alla concessionaria Autostrade alcuna contestazione «puntuale» per gravi inadempienze, come prevede il testo della convenzione stessa. «A breve il deposito del parere da parte della commissione tecnica di supporto al mio ministero», ha annunciato Danilo Toninelli, e le indiscrezioni davano il documento sul tavolo del ministro dei Trasporti già ieri sera. Un’accelerazione inaspettata, perché a tutt’oggi lo scambio di lettere tra il ministero e Autostrade ha riguardato solo la richiesta di chiarimenti senza, appunto, le necessarie contestazioni formali.
Ma per il vicepremier, Luigi Di Maio, il dado è tratto. Come sempre in favore di telecamera: «Il 14 agosto alle commemorazioni del Ponte Morandi — dice — ci si deve andare con la procedura di revoca avviata, o altrimenti come governo è meglio che le passerelle ce le risparmiamo». Nel mirino di Di Maio un obiettivo ben preciso: «Dobbiamo fare giustizia. Quelle persone sono morte perché qualcuno non ha fatto manutenzione. Inutile che si dica Atlantia per non capire di chi stiamo parlando: la famiglia Benetton».Eppure, appena 24 ore prima, Di Maio proprio di Atlantia aveva parlato, definendola azienda «decotta» e scatenando scossoni in Borsa. Ieri il titolo della società ha chiuso in rialzo dell’1%, dopo aver perso in mattinata fino all’1,6% e, come preannunciato, l’azienda sta valutando i danni finanziari e reputazionali derivati dalle parole del vicepremier che, comunque, non demorde: «Se non fai manutenzioni i ponti crollano e se non lavori bene i tuoi titoli crollano. Non è questione di dichiarazioni, ma di fare il proprio dovere».
In caso di revoca, lo Stato sarebbe tenuto a pagare ad Autostrade un importo parametrato sugli utili previsti fino alla scadenza originaria della concessione stessa, cioè il 2042. Dunque una cifra stimata intorno ai 20 miliardi di euro. Gli attacchi di Di Maio e del M5S sul fronte Autostrade, hanno finito per compattare uno schieramento eterogeneo che sembra isolare il leader grillino: dalla Lega («Un conto è dire che chi ha sbagliato paghi, i giudici sono qui per questo — ha affermato Matteo Salvini — un conto è tirare in ballo lavoratori e risparmiatori che non c’entrano niente») ai sindacati («basta con dichiarazioni che rischiano di danneggiare la stabilità di una delle poche aziende solide del Paese»); dalla Confindustria («Non si governa con il rancore, in gioco la credibilità del Paese», le parole del presidente Boccia ) al Pd («Ignobile tifare per il fallimento delle aziende»). Insomma, uno scontro a tutto campo che spazza via (al momento) ipotizzati scambi tra governo e Atlantia: la conferma della concessione di Autostrade a fronte dell’intervento del gruppo Benetton in Alitalia. E che non sia aria di armistizi lo dimostrano anche le affermazioni del premier Conte da Osaka («Abbiamo avviato una procedura di contestazione alla società concessionaria. Quanto accaduto è un fatto oggettivo di grave inadempimento »).
Così come l’annuncio del congelamento degli aumenti delle tariffe di Autostrade fino al 15 settembre, che poteva essere letto come un ramoscello d’ulivo: «Non è frutto del caso — ha commentato Di Maio prefigurando un futuro con pedaggi gratuiti — bensì di volontà politica». Autostrade attende dal governo lo sblocco degli investimenti : circa 8 miliardi già cantierabili. E tra le opere, anche la Gronda di Genova, l’alternativa al Ponte Morandi storicamente osteggiata dal M5S.