Il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio ribadisce che sul dossier Alitalia non ci sarà alcuno scambio con Atlantia. E aggiunge anzi che «questa è un’operazione di mercato: se riusciamo a chiuderla con Ferrovie, Delta Airlines, il Mef e un altro soggetto che non siano concessionari autostradali, bene, sono contento». Il vicepremier sa però che altre concrete opzioni – da qui al termine del 15 giugno – non ce ne sono. L’alternativa è la liquidazione e la svendita al gruppo Lufthansa, con annessi tagli ed esuberi.
Di Maio, parlando ieri su Rai 3, dice di essere «assolutamente contrario al fatto che se Atlantia vuole entrare è per evitare che la commissione del Mit lavori alla revoca delle concessioni». Revoca peraltro complicata per il governo, dato che nel caso è previsto un indennizzo da 20 miliardi di euro. Intanto come conferma il ministro per ora non è arrivata nessuna manifestazione di interesse formale da parte di alcuna azienda. D’altronde, spiega una fonte, le lettere di intenti arrivano quando il quadro è chiaro sotto ogni profilo.
L’amministratore delegato di Atlantia, Giovanni Castellucci, parlando con La Stampa assicura che «la posizione di Atlantia non è cambiata in alcun modo rispetto a quella da me espressa in occasione dell’assemblea della società il 18 aprile scorso, e ribadita il 2 maggio. Siamo naturalmente interessati alle sorti di Alitalia, in quanto controlliamo la società che gestisce l’hub di riferimento della compagnia (Aeroporti di Roma, ndr), ma in questa fase abbiamo troppi fronti aperti per poter intervenire nella newco Alitalia», dice il manager assicurando che «non esiste alcun consulente della nostra società al lavoro sul tema».
Castellucci si riferisce nel dettaglio a tre fronti: la revoca delle concessioni, la revisione dei pedaggi e lo stop all’investimento da 5 miliardi sulla Gronda di Genova. Tutti punti che rendono complicata la partita. Fonti al corrente del dossier spiegano che ciò che vorrebbe Atlantia è la normalizzazione dei rapporti col governo, dopo i duri attacchi che vanno avanti dallo scorso agosto, col crollo del ponte Morandi. Per ora dunque la partita resta in alto mare, in attesa di qualche mossa da parte della politica. Allo stato attuale il consorzio è composto da Ferrovie dello Stato al 30%, il Tesoro al 15%, Deltra con un altro 15% e probabilmente il fondo Quattro R con il 10%. La parte restante potrebbe essere quella di Atlantia, sempre che i Cinque Stelle digeriscano questa opzione. L’investimento sarebbe di circa 220-200 milioni.