Dopo Putin anche Macron si è inchinato alle proteste contro la riforma delle pensioni? Lo sapremo con certezza nei prossimi giorni, capiremo se è solo un mezzo dietrofront ma la posta in gioco è ulteriormente salita. I francesi con i loro 42 regimi previdenziali, che consentono a un macchinista delle ferrovie di lasciare il lavoro a 50 anni, spendono il 14% del Pil. Un dato che li vede molto in alto nelle classifiche Ocse e che Macron vuole correggere.
La stella del campione della modernizzazione aveva retto all’assalto dei gilet gialli ma a questo punto non è detto che ce la faccia davanti all’urto dei sindacati e delle corporazioni tradizionali. Un passo indietro definitivo farebbe vacillare un mito dei liberal: per correggere i difetti strutturali di un Paese sono necessari sistemi politici stabili.
Purtroppo non bastano neanche quelli. Inoltre avevamo pensato che i conflitti sociali del nuovo secolo si sarebbero collocati nella gig economy e invece l’allungamento dell’aspettativa di vita e le tensioni previdenziali produrranno un revamping delle lotte anzianiste. Capaci di condizionare forze politiche e sindacati, già poco propensi a investire sul consenso giovanile.
Le vicende di Parigi ci portano anche a guardare in casa nostra. Il governo Monti varò, senza opposizione dei sindacati, la riforma Fornero che ha via via allungato l’età pensionabile fino ai 67 anni. I problemi si produssero successivamente, con gli errori commessi nei confronti degli esodati e con l’iniziativa della Lega, capace di costruire parte dei suoi successi chiedendo l’abolizione della Fornero (e una volta al governo varando quota 100).
Ma visto che sulla materia sta inciampando anche Macron noi italiani possiamo ridercela? Purtroppo no. Nonostante le riforme fatte, le pensioni, rapportate al Pil, costano in Italia comunque più che in Francia.