Emmanuel Macron ha affermato ieri che tra Francia e Italia c’è «amore». Ha ripetuto la parola almeno tre volte e ha sostenuto che gli ostacoli vanno superati con «il cuore». Che il presidente francese abbia scelto di evocare un sentimento poco coltivato nelle relazioni tra Stati, per quanto possa esistere tra parti consistenti dei popoli, indica a quali livelli siano precipitate nei mesi scorsi le relazioni tra governo italiano ed Eliseo. «Abbiamo dimenticato che bisognava continuare a cercare di capirsi», ha detto il presidente. «Ci sono differenze che fanno anche la nostra ricchezza e il nostro fascino reciproco. Quando lo dimentichiamo (…) non c’è vero amore e quindi c’è un malinteso», ha continuato. Come se davvero a essere entrato in difficoltà fosse stato un rapporto di coppia.
Paradossi di un’epoca nella quale esigenze di comunicazione sovrastano spesso la politica per volontà della politica stessa. Se Porta a porta di Bruno Vespa è stato definito «la terza Camera» della Repubblica italiana, il programma tv Che tempo che fa di Fabio Fazio (che sottolinea: mi sono pagato il viaggio) è risultato ieri il palcoscenico individuato a Parigi per confermare di preferire un reset del tradizionale dialogo franco-italiano alle scintille. Quelle scattate, ricorrentemente, da quando in Italia governano 5 Stelle e Lega.
«Le peripezie più recenti per quanto mi riguarda non sono gravi. Bisogna andare oltre», ha sostenuto Macron nell’intervista rilasciata a Fazio su Raiuno. «Ci sono state affermazioni un po’ eccessive», è stata la sua descrizione più ardita dei contrasti che per la prima volta dal 1940 lo avevano indotto a far richiamare da Roma, questa volta per consultazioni, l’ambasciatore di Francia. Accenti meno delicati che ricomprendono implicitamente settori leghisti si rintracciano in una prevedibile pronuncia di Macron contro i difensori del nazionalismo: «Vogliono lottare contro la nostra Europa. Mi batterò con forza contro queste persone perché ci riporterebbero alle nostre divisioni». Sulla tratta ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, no a retromarce: «È importante. È stata la scelta dei nostri predecessori e noi l’abbiamo confermata».
All’Italia il presidente francese ha riservato un riconoscimento per aver affrontato i flussi migratori da Sud aumentati tra 2015 e 2017. «L’Europa ha una responsabilità in tutta questa situazione europea e italiana perché non ha saputo ascoltare che un Paese, a causa della geografia, aveva un fardello troppo importante per sé», ha dichiarato (un po’ furbescamente, ricordando solo in seguito che l’Ue è fatta di Stati nazionali).
A contare nell’intervista è stato anche ciò che Macron ha evitato di dire. Non una parola, per fare qualche esempio recente, sull’essere stato definito dal vicepresidente del Consiglio italiano Matteo Salvini, leghista, «un pessimo presidente» del quale i francesi dovrebbero «liberarsi». Niente attacchi rumorosi al vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, 5 Stelle, che ha ha incontrato un capo dei «gilet gialli» intenti a contestare Macron con molotov. Si è risparmiato di ribadire, il presidente francese, che non risponde a Di Maio e Salvini perché il popolo italiano «merita leader all’altezza della sua storia».
A permettere che Macron si presentasse così in tv sono stati i passi compiuti dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella per favorire il dialogo. Il 2 maggio sarà lui a continuare la ricucitura: andrà in Francia per incontrare Macron in commemorazioni di Leonardo da Vinci. Prima, non a caso, delle elezioni europee del 26 maggio.