L e consultazioni europee hanno segnato importanti cambiamenti nello scenario politico del Paese. La vittoria della Lega, sopra le aspettative delle ultime settimane, sancisce il successo della Lega nazionale, mentre il declino, anch’esso imprevisto nelle dimensioni, del M5S, segna una ridefinizione dei rapporti nel governo. Infine, la crescita del Pd, annunciata ma più consistente delle attese, sembra segnare una ripresa del bipolarismo sinistra/destra.
Quali sono stati i flussi di voto, ovvero gli spostamenti degli elettori? Per misurarli abbiamo utilizzato i dati dei nostri sondaggi opportunamente riponderati sui risultati reali. E come dato di confronto abbiamo usato il voto per le Politiche 2018. Si tratta di un raffronto non del tutto corretto poiché si tratta di consultazioni diverse, con una diversa partecipazione. Ma il confronto con le consultazioni europee del 2014 sarebbe stato fuorviante, dominate come furono dallo straordinario successo del Pd renziano.
Se guardiamo ai valori assoluti, rispetto al 2018, il M5S perde più di sei milioni di voti, la Lega ne guadagna circa 3 milioni e mezzo, Fratelli d’Italia, altro vincitore di questo giro, ne ottiene circa 300.000 in più, il Pd ne perde poco più di 100.000 (ma cresce in termini percentuali proprio perché la partecipazione è più bassa), Forza Italia vede uscire più di 2 milioni di voti.
Le perdite dei pentastellati vanno in due direzioni molto nette: verso l’astensione (il 41% di chi ha votato questa formazione alle Politiche non ha partecipato alle Europee) e verso la Lega (il 14% circa si sposta su Salvini). La fedeltà è molto bassa: solo il 37% degli elettori 2018 conferma il proprio voto. L’astensione ha inciso in particolare al Sud: l’impatto del reddito di cittadinanza non sembra esserci stato. I pentastellati vedono le perdite maggiori tra i dipendenti pubblici e tra chi si colloca a sinistra (e quindi la recente svolta a sinistra di Di Maio non è riuscita a contenere le perdite).
Le crescite della Lega vengono principalmente dagli elettori del M5S, come già sottolineato, da Forza Italia (oltre il 30% degli elettori 2018 di questa formazione oggi scelgono Salvini), e dall’astensione (circa 4%). In sostanza la Lega diventa punto di riferimento del centrodestra e della destra, riducendo il consenso di FI, sempre più relegata al Sud. Non a caso il profilo degli elettori della Lega è sempre più sovrapponibile all’elettorato classico del centrodestra: autonomi e piccoli imprenditori, casalinghe, ma anche operai, titoli di studio medio bassi (che sono ancora la maggioranza nel Paese).
I vincitori
Rispetto al 2018 il partito di Salvini sale di 3 milioni e mezzo di voti, FdI circa 300 mila
Fratelli d’Italia beneficia di voti provenienti anch’essi dall’area del centrodestra (in misura simile sia dalla Lega che da FI), ma anche dal M5S, sia pur in misura più contenuta, e dall’astensione 2018 (circa 7% dell’attuale elettorato del partito di Giorgia Meloni è fatto da chi nel 2018 non aveva espresso un voto). Saldamente ancorato nel centrodestra, è interessante una certa trasversalità, che accomuna imprenditori, dirigenti e pensionati, con una presenza interessante di titoli di studio alti.
Da ultimo, il Pd. Qui il flusso principale viene dall’astensionismo. Se infatti oltre due terzi degli elettori del Pd confermano il proprio voto espresso alle Politiche, poco meno del 10% dell’elettorato attuale è composto da chi allora non si era espresso. Accanto a questo, flussi apprezzabili vengono dalla sinistra di Leu, dagli elettori M5S e di +Europa. In sostanza, il partito di Zingaretti consolida il campo, raccogliendo i transfughi verso il M5S, gli elettori di sinistra e gli astensionisti 2018, allora critici sulla gestione renziana e infine quella parte di elettorato che era patrimonio di +Europa.
Si apre oggi una fase nuova che richiede molte messe a punto: da parte della Lega un consolidamento degli obiettivi di governo per rispondere alle richieste di larga parte del proprio elettorato; da parte del M5S una profonda revisione del proprio rapporto con il territorio e un’articolazione più adeguata della leadership; da parte di FdI un rafforzamento del rapporto con la Lega nella prospettiva di una ripresa del centrodestra; da parte di FI una revisione del posizionamento, a pena di divisioni interne sempre più nette. Infine, da parte del Pd, oltre al consolidamento dell’area, la capacità di aprirsi al centro, per ricostruire lo scenario bipolare. Tutto naturalmente ruota intorno alla tenuta del governo. Probabilmente è interesse di entrambi gli attori della maggioranza non avere una crisi a breve. Ma la gestione della prossima manovra non sarà semplice.