Il lusso conquista i private equity, ma dà loro poche soddisfazioni. Si sono spenti in febbraio i riflettori sul riassetto azionario di Trussardi (il 60% è andato a QuattroR Sgr partecipata fra gli altri da Cdp), che subito dopo si sono accesi sul riassetto di Roberto Cavalli, dal 2015 nelle mani di Clessidra. Per non parlare, poi, di Morellato: il presidente Massimo Carraro ha dichiarato che la società, partecipata dalla sua famiglia, da Marina Salamon e Matteo Marzotto, è pronta «a un altro socio, di minoranza e unicamente finanziario». Tutte notizie che danno il polso di un settore in effervescenza anche per gli appetiti dei fondi.
Eppure a guardare i numeri i risultati non sembrano così incoraggianti per i private equity. Se si prende un panel di 100 società italiane del comparto moda e lusso, le 26 controllate da fondi chiusi risultano avere un Ebitda margin più basso rispetto alla media: un 12,2% contro il 19,6%, secondo l’analisi di Pwc. A svettare su tutti sono i brand controllati dai grandi gruppi esteri del lusso, come Kering e Lvmh con un Ebitda margin al 30,7%. Seguono a distanza con il 18,1% le aziende quotate e poi con il 14,5% quelle controllate dal fondatore, da una famiglia o da un investitore privato. «L’Ebita margin dei brand controllati da gruppi esteri è più alto anche perché si tratta di marchi del segmento alto del lusso. C’è da dire, comunque, che i gruppi internazionali del lusso mettono a sistema sinergie corporate, creando quindi risparmi sui costi, ma lasciando allo stesso tempo indipendenza a livello di funzioni strategiche ai singoli brand. E questa è una strategia che sta dando frutti positivi» commenta Emanuela Pettenò, partner PwC Consumer deals, che prosegue: «Nel gruppo delle quotate c’è molta diversificazione perché si va da brand del lusso a società di moda. Questo fa in modo che l’Ebitda margin risulti in media più basso».
Il comparto, comunque, presenta delle peculiarità che richiedono da parte degli azionisti competenze specifiche: «Il settore del lusso e della moda è diventato sempre più interessante per i fondi di private equity, ma resta un comparto di non facile approccio per le specificità che ha. Negli anni in Italia sono stati diversi gli investimenti come quelli in Versace, Cavalli, Missoni, Golden Goose, Trussardi, Valentino, Buccellati e Moncler. Non sempre, però, questi investimenti si sono rivelati positivi per i fondi. Questi ultimi se non specializzati, infatti, rischiano di non comprendere il business e le sue dinamiche». Resta il fatto che i riassetti non sembrano finiti. «Nel prossimo futuro diverse aziende, attualmente in mano al fondatore, faranno riflessioni in merito all’evoluzione del loro azionariato. Questo aprirà a diverse opportunità in un comparto che, in Italia, resta ancora molto polverizzato» osserva Pettenò, che sottolinea: «Basti pensare che le aziende prese in considerazione da Sistema Moda Italia sono 46mila per un fatturato complessivo di circa 54 miliardi di euro nel 2017. PwC Deals ha mappato un panel di 64 aziende del settore che totalizzano un fatturato aggregato di 35 miliardi di euro nel 2017, il che implica una estrema polverizzazione in termini dimensionali delle altre aziende del comparto».