Sulla carta sembra un business semplice: imbottigliare materia prima fornita dalla natura, intervenendo il minimo possibile sul prodotto. Ma trasformare poi questo procedimento in margini, semplice non lo è per niente. «I limiti sono molti — spiega Alessandro Invernizzi, direttore generale di Lurisia—eil rispetto per la materia prima deve essere assoluto». Quella del gruppo è una storia controcorrente rispetto ai competitor. È sufficiente pensare che trovare una bottiglia Lurisia sugli scaffali di un supermercato è difficile, se non impossibile.
La nicchia di mercato dell’azienda piemontese è quella dei ristoranti, dove le iconiche bottiglie di vetro disegnate da Sottsass Associati troneggiano su molti tavoli. Una scelta stilistica di differenziazione adottata nel 2008, anno in cui il gruppo amplia il proprio business introducendo il chinotto con l’agrume del savonese, presidio slow food, e la gazzosa con i limoni di Amalfi (entrambi prodotti da un’azienda terza che il gruppo ha acquisito a dicembre del 2017), oltre alle birre. «Abbiamo puntato su una strategia di valore e non di volumi. Del resto non ce lo possiamo permettere in termini di spazio», spiega Invernizzi. Uno stabilimento che imbottiglia acqua in plastica riesce a riempire 80mila bottiglie all’ora, contro le 25mila in vetro. A fronte di un fatturato 2004 chiuso a 7 milioni, nel 2015 e 2016 il giro d’affari è arrivato attorno a quota 21 milioni. Cifre che hanno attratto diversi investitori.
Già nel 2004 la storia di eccellenza di Lurisia (nata attorno a una fonte termale nell’omonimo paese piemontese) aveva incuriositoOscar Farinetti, che aveva deciso di acquisire il 50% del gruppo.Nel 2015 è stata poi la volta del fondo IdeA Taste of Italy, un private equity che fa capo a IdeA Capital Funds, controllata dalla IdeA Capital del gruppo De Agostini. Ora il capitale è equamente ripartito in tre tra la famiglia Invernizzi, Farinetti e il fondo,«entrato nel capitale — specifica Invernizzi — con l’obiettivo di sostenere la nostra crescita, raddoppiando volumi e fatturato nei prossimi cinque anni».
Sempre tenendo conto dei limiti di questo business. «Per questioni propriamente fisiche, fino ad ora avevamo a disposizione solo 100 milioni di litri ogni anno. A partire dal 2013 abbiamo fatto un’attenta mappatura del territorio, trovando nuove sorgenti che ci garantiscono di triplicare i volumi d’acqua». Adesso nei piani c’è il consolidamento all’estero. Lurisia è presente in 42 Paesi, ma il fatturato fuori dall’Italia per ora pesa solo per il 15%. «Vogliamo arrivare al 25% entro il 2022. E vogliamo rafforzare la nostra presenza sul web, sia con strategie di comunicazione sia con un nuovo canale di vendita, Enjoy Lurisia, per ora attivo solo a Milano ma che consentirà la vendita “doorto door” senza intermediazione. Spazi di crescita ci sono insomma — conclude Invernizzi—. Basti dire che siamo il Paese che beve di più: 14 miliardi di litri di acqua all’anno».
*L’Economia, 16 marzo 2018