«Chiuse tutte le polemiche». Matteo Salvini ne è convinto: «Il presidente Conte al suo rientro dal Vietnam troverà tutte le garanzie da lui richieste». Solo il tempo dirà se il faccia a faccia di ieri tra il vicepremier leghista e Luigi Di Maio, il primo dopo parecchio tempo, avrà seppellito gli strascichi della campagna elettorale di tempesta. Salvini ne è convinto: «Su alcuni temi c’è un’attenzione diversa, dei sì, rispetto a qualche settimana fa, anche in considerazione del voto popolare: sullo sblocca cantieri, sulle infrastrutture, sull’Europa…».
Il cronoprogramma che i due vicepremier hanno in mente prevede tempi stretti e un passaggio formale delicato: il vertice a tre con il premier Giuseppe Conte che si terrà probabilmente lunedì sera. Lì verrà aggiornata l’agenda delle priorità del governo. Il giorno successivo, l’atteso Consiglio dei ministri. A rendere sensibile il summit con il premier, appunto il rapporto con l’Ue. Salvini e Di Maio possono essere d’accordo, ma il profilo di Conte fin qui è stato soft. In ogni caso, spiega Salvini, «con Di Maio abbiamo condiviso il fatto che con questa Europa ci si confronta con dignità e nella salvaguardia dell’interesse nazionale. Senza gridare, senza alzare la voce, ma con alcune buone ragioni: i dati economici di inizio 2019 sono positivi, ma a un convalescente non puoi dare un calcio». Casomai la metafora richiedesse spiegazioni, Salvini osserva che «con i governi dell’austerity, tra il 2011 e il 2013 il debito pubblico è cresciuto di 170 miliardi». Ma anche Luigi Di Maio avrebbe parlato di «essere responsabili ma senza farci mettere i piedi in testa».
Il rapporto con l’Ue comporta che servirà «un ministro ai rapporti con l’Unione a tempo pieno». Salvini si riferisce al fatto che oggi, dopo l’uscita dal governo di Paolo Savona, la delega è in capo al premier: «Ne parlerò con lui al suo ritorno, ma penso che ci sia disponibilità: dal prossimo mese nascono le nuove istituzioni europee e non possiamo lasciare quel ruolo senza presidio: se Conte è in Vietnam, non può nello stesso momento essere a Bruxelles». Salvini dice di «prescindere dalla Lega», ma anche di avere «idee molto chiare» sull’identikit del futuro ministro. Ma se le tiene per sé. Nella Lega circola comunque il nome di Guglielmo Picchi.
Quanto al commissario italiano, discorso simile. Punto fondamentale: secondo Salvini il futuro commissario «dovrà essere un politico. La procedura d’infrazione è un fatto politico, non tecnico. Ci sono paesi messi peggio di noi che non sono sotto minaccia d’infrazione. E dunque, il punto di vista deve essere politico». Qui, il nome che circola continua a essere quello di Giancarlo Giorgetti.
Di rimpasti e avvicendamenti nel governo Salvini non vuole sentir parlare: «Rimpasto è parola di altra era politica, noi abbiamo parlato delle cose da fare». Certamente una discussione dettagliata sui possibili futuri assetti di governo ieri non c’è stata. Ma nella Lega c’è chi spiega come la pensa il partito: «Se qualcuno si è contraddistinto per la posizione contraria, per esempio, a opere e infrastrutture, non si vede come possa continuare come prima e nella stessa posizione». Come dire: il ministro Toninelli potrebbe ritrovarsi in fuorigioco. A differenza dei ministri Trenta e Costa, poco cari ai leghisti ma su cui i 5 Stelle non intendono cedere. Meno certa, anche tra i 5 Stelle, la posizione di Giulia Grillo. Non una parola, ufficialmente, sugli avvicendamenti e le integrazioni tra sottosegretari.
Nell’agenda di governo però entra con energia la riforma della Giustizia:«Ne parlerò — dice Salvini — con il ministro Bonafede. Perché è adesso o mai più: per la prima volta c’è la possibilità di scriverla con i magistrati e gli avvocati. Non possiamo perdere l’occasione».