C’è voluto l’energico ultimatum del premier per stoppare la roulette delle nomine e convocare, per le 9.30 di oggi, il Consiglio dei ministri che dovrà dare il via libera. Salvo colpi di scena, prima di pranzo o al più tardi in serata, quando Giuseppe Conte sarà tornato dalle zone terremotate, i 43 sottosegretari potranno indossare l’abito nuovo e salire a Palazzo Chigi per il giuramento.
Stufo di polemiche, accelerazioni e frenate, dovute alle tensioni tra Pd e M5S e all’interno dei due partiti, Conte ha ammonito i capi delegazione Di Maio e Franceschini. «Capisco le difficoltà, ma dobbiamo chiudere e metterci subito a lavorare — ha bacchettato il capo dell’esecutivo —. Non possiamo bloccare i ministeri, in apertura della sessione di bilancio». Il tempo per trattare, litigare e limare è scaduto, ha avvertito Conte, e Franceschini ha fatto notare a Di Maio quanto dannosi siano gli anatemi di Salvini contro i giallorossi che «si scannano per le poltrone».
Giornata da infarto, per candidati e aspiranti. Prima la fumata nera, con il Consiglio dei ministri delle 15.30 che si apre e si chiude senza lista. Poi la notizia di uno slittamento a martedì causa scontro su telecomunicazioni, energia, editoria. E in serata, dopo un vertice con Di Maio, Franceschini, Fraccaro e Spadafora, la fumata (quasi) bianca, che sarebbe stata suggellata in notturna da una telefonata tra Zingaretti e il capo M5S.
Laura Castelli tornerà in via XX Settembre come «vice» di Roberto Gualtieri, mentre Stefano Buffagni sarà sottosegretario e Antonio Misiani viceministro pd. A Palazzo Chigi, per la delega all’editoria è derby tra i dem Giovanni Legnini e Andrea Martella: il primo è l’ex vicepresidente del Csm, il secondo è il braccio destro di Andrea Orlando. Lo scontro è durato giorni, perché Di Maio voleva l’editoria per Vito Crimi, o Emilio Carelli. Nel Movimento l’agitazione innescata dal metodo di selezione dei candidati ha generato un clima di mugugni e sospetti. Martedì all’ora di pranzo alcuni deputati hanno visto Luca Lotti con Denis Verdini al ristorante Pastation. L’ex ministro renzianissimo e l’ex braccio destro di Silvio Berlusconi sono amici, ma l’incontro nelle ore cruciali delle nomine ha fatto fiorire le interpretazioni. Anche perché la contesa più serrata riguarda la delega alle telecomunicazioni. I 5 Stelle vogliono lasciare la materia al ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli, mentre i renziani chiedono che le deleghe sulle tlc siano affidate all’ex sottosegretario Antonello Giacomelli. Sul quale però il Pd avrebbe messo il veto. «Renzi ha chiesto a Franceschini sei incarichi — è la versione del Nazareno — Ma ne avrà al massimo tre, perché i sei posti della minoranza non può averli tutti Renzi». A remare contro ci si è messo anche Alessandro Di Battista, che su Retequattro ha insistito sul tema «Renzi non è cambiato, non si è convertito sulla via di Damasco». Nonostante gli strali dell’ex deputato, alcuni renziani sembrano blindati. Lele Fiano, che andrà all’Interno, Roberto Cociancich, che sperava di soffiare le Riforme al sottosegretario Fraccaro e Anna Ascani. La mancata ministra dell’Istruzione sembrava avviata verso il ruolo di «vice», ma adesso il tam tam parlamentare insinua che il suo nome, per via della riforma della Buona Scuola, non sia gradito a presidi e docenti. E così Ascani verrebbe dirottata ai Beni culturali, lasciando l’Istruzione a Simona Malpezzi. A notte non avevano ancora un posto sicuro l’ex ministro Maurizio Martina e Antonio Funiciello, vicino a Paolo Gentiloni.
Sulla casella esplosiva dell’energia si è rischiato il botto. Zingaretti vorrebbe affidarla a Gian Paolo Manzella, ma i 5 Stelle spingono per Dario Tamburrano. Palazzo Chigi intanto rafforza l’incarico del segretario generale Roberto Chieppa e ridisegna le competenze di alcuni ministeri. Di Maio «ruba» il commercio estero a Patuanelli (Sviluppo) e Franceschini (Cultura) soffia il Turismo a Teresa Bellanova (Agricoltura).