Il vero spartiacque fu l’intervista al veleno rilasciata al «Corriere della Sera» il 30 novembre scorso. Da allora tutto quello che è accaduto, ogni singolo evento, è stato in linea e consequenziale alle dichiarazioni rabbiose e amare rilasciate da Luciano Benetton. La sua nomina, confermata dal cda di ieri, a presidente esecutivo di Benetton Group è un atto formale e obbligato. A questo punto, con il ritorno più che operativo del fondatore, va da sé che la figura di Francesco Gori, presidente da maggio 2016, suonava ridondante. Gori ha quindi rimesso le deleghe al fondatore, rimanendo in cda la cui scadenza è fissata a maggio 2019. In una nota, Benetton fa però sapere che per Gori si aprirà lo scenario di una nuova carica in un’altra società che fa capo alla holding Edizione. Carica al momento, spiegano fonti, non ancora definita ma doverosa: è infatti altamente probabile che l’ex Pirelli Gori sia entrato “in famiglia” con un impegno pluriennale oltre l’anno e mezzo appena trascorso. La nuova poltrona potrebbe essere definita a maggio 2018 con l’approvazione dei conti della United Colors.
Un bilancio, quello del 2017, che chiuderà con il rosso peggiore di sempre: nei corridoi di Ponzano Veneto si spiffera sui cento milioni, 20 milioni di perdite in più sul 2016. D’altronde, l’ha detto Luciano stesso alla sua ultima uscita: «Sono tornato e ci metto il nome e la faccia, ma bisognerà aspettare almeno un anno per avere i primi riscontri». Era il 19 gennaio e, al fianco del fedelissimo Oliviero Toscani, il primo dei quattro fratelli ha illustrato la rivoluzione del centro creativo Fabrica in «Circus», tra i primi punti del piano per restituire alla United lo smalto d’oro. «Operiamo giorno per giorno per migliorare la situazione industriale e commerciale dei negozi, dei prodotti e dell’immagine del marchio. È una procedura intensa e completa. Non so quando potremo tornare in utile» ha poi aggiunto.
I tempi della ristrutturazione guardano al 2021: questi gli anni che si è dato il fondatore per la sua combattuta discesa in campo. Per molti, se non l’ultima, la chance più autentica per rilanciare il marchio da cui partì l’impero. Luciano, che a Fabrica ha chiarito: «Per ora non ci sarà al suo fianco nessun amministratore delegato» ha anche fatto riferimento al fatto che la produzione potrebbe tornare almeno parzialmente in Europa e Nord Africa. Una frase che, letta attentamente, potrebbe mettere in dubbio la ventilata operazione di fusione di Olimpias in Benetton. Olimpias è la manifattura, il cuore produttivo della galassia ed è oggi una società controllata da Edizione, quindi cugina della Benetton Group. Olimpias è retta da Christian Benetton, figlio di Carlo fratello di Luciano, e con la scissione in tre del business di Benetton operato nel 2015 ha ereditato tutta la parte produttiva legata all’abbigliamento, lasciando alla nuova Benetton Srl solo il business commerciale. Benetton già copre il 90% del fatturato della cugina che sta tentando la strada dell’autonomia dalla mono-comittenza. Olimpias produce proprio in Europa e Nord Africa e, fonti sostengono che non solo la fusione non è tra le priorità di Luciano ma anche che nessuna operazione di accorpamento è passata nei rispettivi Consigli. I fari del piano di Luciano sono accesi sul colore e sul ritorno della maglieria lavorata a ferri che ben confeziona la sorella Giuliana (già in pista) a cui si aggiunge la collaudata provocazione senza filtri di Toscani. Pochi i contenuti finora emersi ma è presto: la pulizia della società che Luciano, in un pungente afflato, definì metaforicamente una «stanza piena di lattine, cicche, cartacce e sporcizia» è iniziata ma non sarà breve.