È una generazione “global”. Malgrado sia cresciuta in un con-testo “no-global”. Che ha condiviso un discorso di critica alla “globalizzazione”. Ai poteri e ai condizionamenti che si sviluppano su base globale.
Questa generazione “no-global” oggi si è affermata in prospettiva “globale”. E venerdì scorso, 15 marzo, i giovani – per primi gli studenti – sono scesi in piazza. E sulle strade. In quasi 2mila città del mondo e oltre 200 in Italia.
Frequentano le superiori, l’università. Nei giorni scorsi hanno manifestato contro il deterioramento climatico.
Seguendo l’esempio di Greta Thunberg, giovanissima attivista svedese. Un problema sentito da molti, come conferma il Rapporto Europeo sulla Sicurezza, curato da Demos-Fondazione Unipolis.
Infatti, nel sondaggio più recente, le questioni “ambientali” sono fra quelle che preoccupano maggiormente.
Come dichiara il 60% degli italiani (intervistati). Tuttavia, il primo motivo di inquietudine resta il “futuro dei giovani”.
Quasi i due terzi della popolazione, infatti, pensa che “i giovani avranno nel futuro una posizione sociale ed economica peggiore rispetto ai loro genitori”. D’altronde, i giovani, ormai, sono divenuti una “specie rara”. E mentre l’inquietudine verso i migranti “stranieri” cresce, crescono anche i “nostri” migranti. Gli italiani. In particolare, i più giovani. I più istruiti e preparati. Che partono.
Per studiare, ma anche per svolgere attività qualificate.
Altrove. E non sempre rientrano.
Anzi, rientrano sempre meno.
Perché in Italia, e non da oggi, le politiche per i giovani, gli investimenti nella scuola e nella ricerca, sono inadeguati. Per usare un eufemismo. Per questo i più giovani tra i millennials e i post-millennials, nati intorno al 2000, sono una generazione “globale”. Per necessità e per vocazione. Perché guardano “avanti”. Oltre i confini geografici e temporali. Come conferma, di nuovo, un’indagine di Demos (dicembre 2018).
Infatti, se quasi il 48% della popolazione ritiene “il futuro incerto e carico di rischi”, tra i più giovani (15-24 anni) questa percezione si riduce alla metà.
La maggioranza di essi (oltre il 50%) pensa, invece, che il Paese dovrebbe “aprirsi al mondo”.
Mentre una larga maggioranza della popolazione vorrebbe che “i confini venissero controllati maggiormente”. Insomma, i giovani, in particolare i “più giovani”, (di)mostrano “meno paura” e “meno paure” rispetto ai genitori. Anche se manifestano la stessa s-fiducia nei confronti degli altri che si osserva fra gli adulti. E forse anche un po’ di più. Pesa, a questo proposito, la consuetudine digitale. Il tempo trascorso a comunicare sui social e in rete. Una pratica che sviluppa relazioni senza empatia. Perché quando ci muoviamo online, in-rete, siamo sempre con gli altri. Ma sempre da soli. Noi davanti al PC, al tablet. Allo smartphone. Anche quando camminiamo per strada. Gli occhi fissi sul nostro cellulare. Come se nulla e nessuno esistesse. Intorno a noi.
Le “manifestazioni”, come quella dei giorni scorsi, costituiscono, così, un modo di “manifestare” in modo “pubblico” i propri sentimenti, le proprie idee. Ma offrono, al tempo stesso, una sorta di terapia contro la solitudine.
Contro l’insicurezza. Perché manifestare significa con-dividere valori e obiettivi.
Preoccupazioni e problemi.
Stare insieme agli “altri”. I quali, in questo modo, diventano “parte” del nostro mondo, della nostra vita. Così, “parte-cipare” aiuta a sentirsi “con” gli altri.
Intorno a questioni con-divise.
Che, dunque, “non dividono”, ma “ri-uniscono”. La generazione dei post-millennials insieme ai “più” giovani fra i millennials. A sostegno di una rivendicazione importante. La più importante, per i giovani per gli studenti. Infatti, la protezione dell’ambiente costituisce una priorità, rispetto allo sviluppo economico, per i due terzi degli italiani, nel complesso. Ma per l’83% fra i giovani compresi fra 15 e 25 anni. E, nella stessa misura, fra gli studenti. La categoria di gran lunga più “più sensibile all’emergenza climatica. I giovani e gli studenti, gli studenti in quanto giovani: formano la base delle mobilitazioni a cui abbiamo assistito.
È probabile che si ripropongano, nel prossimo futuro. Perché queste iniziative contribuiscono non solo a denunciare un’emergenza. Ma a formare un’identità sociale, una coscienza comune. A trasformare un settore sociale definito in base all’età e all’attività – di studenti – in una “generazione”. Cioè, una “comunità”. Che riassume un’esperienza “comune”. E interpreta “comuni” sentimenti.
Proiettati oltre ogni confine. I giovani, oggi, sono una generazione “globale”. Per esperienza: perché si è abituata al mondo. E per proiezione.
Perché lo vuole cambiare. È già avvenuto altre volte, in passato.
Molti di noi ne hanno memoria.
Speriamo che avvenga di nuovo.
Che questa generazione contribuisca a cambiare il “clima d’opinione” a favore del clima “ambientale”.