I dati di maggio 2019 ci regalano ottime notizie sul fronte dell’occupazione. La rilevazione mensile diffusa ieri dall’Istat fotografa uno stock di occupati che per la prima volta da tempo riesce a superare quota 18 milioni (non accadeva dal lontano ‘77) e un tasso di disoccupazione sotto la Soglia Dieci al 9,9% (dato più basso dal febbraio 2012). Secondo l’Istat poi non è solo l’exploit di un mese — magari condizionato dalla stagionalità turistica — ma si tratta di una tendenza valida anche in sede di rendiconto trimestrale e anno/anno. Un esito dei dati sull’occupazione di questo tipo si presta naturalmente a commenti in chiave strettamente politica oppure a un’analisi più fredda che tenti di capire come è possibile che con un Pil che non promette niente di buono invece l’occupazione risalga e faccia segnare dei piccoli record.
Un’analisi dettagliata dei soli dati di maggio ‘19 ci può aiutare in questa ricognizione. Gli occupati calcolati su aprile ‘19 sono stati 67 mila in più, l’aumento è stato fornito quasi totalmente dagli uomini (+66 mila), stabili invece le donne così come le persone di ambo i sessi tra i 15 e i 24 anni. In calo la fascia tra i 35 e i 49 (-34 mila) mentre i vincitori di tappa, per di più a mani alzate, sono gli ultra 50enni con una crescita di 88 mila unità. Se gli stessi dati vengono invece riclassificati per tipologia contrattuale gli indipendenti sono saliti di 28 mila unità, i posti fissi di 27 mila e quelli a termine di 13 mila.
E allora? Cosa sta accadendo nel mercato del lavoro? Un primo giudizio riguarda la legge Dignità che comunque riesce a spingere i datori di lavoro a formalizzare una quota di stabilizzazioni, non si tratta di numeri biblici ma è una tendenza che si ripresenta con una certa continuità man mano che scadono i contratti a termine. Questa stabilizzazione — che riguarda la prima fascia dei precari, quelli evidentemente giudicati indispensabili all’azienda o comunque dei talenti — si scarica sulla fascia immediatamente sottostante dove con tutta probabilità la tendenza principale è quella di una forte rotazione. Il saldo è leggermente positivo ma l’elemento peculiare è dato dalle sliding doors, precari che escono e precari che entrano. Analizzando i dati del lavoro autonomo si può pensare che l’aumento sia un effetto della mini flat tax che dovrebbe aver spinto giovani e non giovani all’apertura di nuove partite Iva. Per saperlo con ragionevole certezza dovremo aspettare i dati del Mef ricavati dai registri fiscali dell’Agenzia delle Entrate. Un’ osservazione che ha un peso molto rilevante è quella che riguarda la «vittoria» degli ultra 50enni. Non è un risultato dovuto alla politica (ovvero a questo o a quel provvedimento di questo o quel governo) ma è il mercato che sembra indirizzarsi verso di loro, premiando forse la loro esperienza e le loro competenze e scontando invece il mismatch. Che continua ad esserci tra offerta di posti di lavoro tecnici nel manifatturiero e un sistema formativo che non li sforna nei tempi e nelle quantità necessarie. Un’ultima osservazione riguarda poi la tendenza europea. Come ha fatto notare Andrea Garnero dell’Ocse, «negli altri Paesi salvo Grecia, Spagna e Francia, si parla addirittura di piena occupazione e di un boom di posti di lavoro».