Alcune delle riforme bandiera sono state messe in campo, dal reddito di cittadinanza a quota 100, dalle misure contro la precarietà alla legittima difesa. Per altre, più passa il tempo più appare evidente che, nonostante siano previste dal contratto tra Lega e 5 Stelle, riforme come la flat tax per tutti o l’autonomia regionale, sono in bilico. Ciò che emerge da questo primo anno dell’esecutivo è un processo decisionale molto contrastato. Le riunioni del consiglio dei ministri (58 finora) sono state per lo più brevi e con tanti provvedimenti approvati «salvo intese». Spesso ai ministri sono state portate solo le «copertine» da approvare quasi senza discussione, salvo spendere settimane per trovare l’accordo sul testo.
È così accaduto che il decreto legge «sblocca cantieri» sia passato una prima volta nel Consiglio dei ministri il 20 marzo e poi il «salvo intese» sia stato sciolto solo un mese dopo, tanto che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha chiesto una nuova approvazione formale, avvenuta il 18 aprile. Stessa cosa sul decreto «crescita», licenziato due volte: la prima il 4 aprile e la seconda il 24 aprile. Poi tocca alle Camere. Quando si tratta di decreti legge (anche questo governo ne abusa) almeno c’è la tagliola costituzionale che ne impone l’approvazione entro 60 giorni, ma ugualmente si assiste alla pioggia di emendamenti (1.200 per lo «sblocca cantieri») e all’approvazione dei provvedimenti in extremis col voto di fiducia. Le poche volte che l’esecutivo ricorre a disegni di legge va molto peggio. Prendiamo i 10 disegni di legge delega sulle semplificazioni varati nel consiglio dei ministri del 28 febbraio: in molti casi l’iter in Parlamento non è cominciato o è alle prime battute. A complicare tutto c’è la litigiosità tra i due azionisti della maggioranza in aumento con l’avvicinarsi del voto europeo e col ribaltarsi, almeno nei sondaggi, dei rapporti di forza tra 5 Stelle e Lega.
Detto questo, il Carroccio può vantare di aver messo in campo il «superamento della Fornero» con la pensione anticipata a«quota 100» e la riforma della legittima difesa a favore di chi subisce un furto (passata sì, ma con i robusti paletti del Quirinale), la flat tax (aliquota del 15%) per le partite Iva. I 5 Stelle possono invece rivendicare il «decreto dignità», che ha reso più complicati e costosi i contratti a termine, il «reddito di cittadinanza», la riforma «spazza corrotti» per bandire dagli incarichi pubblici chi si macchia del reato di corruzione. Anche queste riforme, però, andranno giudicate alla luce risultati. «Quota 100» dovrebbe premiare 290 mila lavoratori (ma per ora le domande sono 130mila), che solo in parte verranno sostituiti. Il «reddito di cittadinanza», ammette lo stesso governo, non raggiungerà 1,3 milioni di famiglie, tanto che si risparmierà almeno un miliardo. E le misure di accompagnamento al lavoro devono ancora partire. La flat tax per le partite Iva ha generato un forte aumento di queste ultime, probabilmente nascondendo una migrazione di lavoratori dipendenti verso un lavoro autonomo apparente. Il decreto dignità appare troppo rigido. Sullo «spazza corrotti» c’è l’approvazione della legge, a dicembre, ma alle condizioni poste dalla Lega: scatterà solo dal primo gennaio 2020 l’interruzione dei termini della prescrizione dopo il primo grado. Salvini ha così ottenuto la «partenza differita» della riforma e ha anche chiesto come contropartita un intervento sui tempi del processo penale e civile. Ma dopo 5 mesi, il provvedimento è ancora in coda al pre consiglio dei ministri. In ogni caso, anche senza riforma del processo, con il nuovo anno scatterà l’«effetto bomba» della prescrizione paventato dalla Lega. Infine, sulla madre di tutte le partite, l’autonomia rafforzata per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, la Lega vuole accelerare, i 5 Stelle frenano.
Ma il difficile deve ancora venire. Il governo, dopo le europee, dovrà cominciare a lavorare sulla manovra che, a bocce ferme, richiederebbe risorse per circa 35-40 miliardi (clausole Iva, correzione del deficit , contratti pubblici, ecc.). E questo senza contare la flat tax per le persone fisiche (Irpef): costo minimo 12 miliardi. Fare tutto non sarà possibile. Bisognerà scegliere. E prima del 20 settembre, termine per la legge di Bilancio 2020. Intanto, il Pil oscilla tra recessione e stagnazione. Con Lega e 5 Stelle che riescono a litigare perfino sugli investimenti pubblici. Dalla Tav alla Gronda, dai commissari straordinari alle trivelle, l’incertezza domina sovrana. Insomma, non proprio un «anno bellissimo».