Il nuovo governo ama ripetere che negozierà con decisione a Bruxelles per ottenere i margini necessari ad aumentare la spesa e ridurre le tasse. C’è però una trattativa più urgente di cui Giuseppe Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini sembrano essersi dimenticati: quella con gli investitori che dovrebbero finanziare la loro lunga lista di promesse. Per ora, non sta andando per niente bene.
Nell’ultimo mese i rendimenti sui buoni del tesoro decennali italiani sono cresciuti dall’1,86% al 3,11%. Ancora più vistosa è stata la reazione dei titoli a due anni, i cui tassi sono saliti da – 0,16% a 1,67%. Gli investitori sono disposti a prestare soldi al “ governo del cambiamento”, ma solo in cambio di interessi molto maggiori rispetto al resto d’Europa. Ad allargarsi non è stato solo lo spread con i Bund tedeschi (ormai giunto a oltre 260 punti base), ma anche con Paesi tradizionalmente ritenuti più rischiosi di noi come Spagna e Portogallo.
Queste variazioni mandano al nuovo esecutivo un messaggio molto semplice. La Lega e il Movimento 5 Stelle sono convinti che le loro misure — dal taglio delle tasse per famiglie e imprese ai sussidi al reddito per i più poveri — aiuteranno la sostenibilità del debito pubblico, poiché faranno accelerare la crescita. Gli investitori non credono a questa scommessa: se lo facessero, i tassi d’interesse sarebbero sostanzialmente invariati rispetto a un mese fa.
Fino ad ora la reazione dei partiti di governo è stata soltanto difensiva. Durante il dibattito sulla fiducia al Senato, il presidente del Consiglio ha agitato lo spettro di «speculazioni finanziarie». Alcuni parlamentari di Lega e 5 Stelle se la sono presa con la Banca centrale europea: «La Bce e le banche italiane hanno rallentato se non sospeso l’acquisto di Btp sul mercato italiano contribuendo all’aumento dello spread», ha detto a fine maggio la deputata grillina Laura Castelli.
Si tratta soltanto di fantasiosa propaganda. Le preoccupazioni sulla tenuta del debito italiano sono condivise sia da fondi speculativi, sia da investitori di lungo periodo. Quanto alla Bce, è vero che a maggio ha comprato grosse quantità di Bund tedeschi, riducendo così in termini relativi gli acquisti di altre obbligazioni governative. Tuttavia, il valore assoluto dei Btp che la Bce ha comprato a maggio è rimasto in linea con quello dei mesi precedenti. Gli interessi sui titoli di Stato italiani sono cresciuti anche rispetto a quelli di altri Paesi non interessati dall’aumento degli acquisti come la Francia. Infine, i volumi mobilizzati dalla Bce sono comunque ridotti rispetto alla massa di denaro scambiata quotidianamente sui mercati e dunque insufficienti a influenzare da soli lo spread.
La verità è che il governo non ha una strategia chiara per fronteggiare l’aumento degli interessi sul debito. In settimana, l’Italia dovrà collocare 6 miliardi di euro in Bot annuali, oltre a 4-6 miliardi di obbligazioni a medio-lungo termine. L’ultima asta, a fine maggio, è andata male: l’Italia ha dovuto promettere tassi molto più alti rispetto a quelli offerti la volta precedente. Si tratta, è bene dirlo, di porzioni ancora irrisorie rispetto all’enorme massa del nostro debito pubblico. Ma più va avanti questa situazione di tensione, più aumenta la nostra spesa per interessi, riducendo così le risorse che possono essere destinate alle misure espansive che Lega e 5 Stelle vorrebbero attuare.
Il governo, e in particolare il nuovo ministro dell’Economia Giovanni Tria, sono già davanti a un bivio. La prima strada è annunciare che l’Italia non ha intenzione di indulgere nei programmi di spesa propagandati da Lega e 5 Stelle a meno di trovare le opportune coperture. Tria dovrebbe inoltre ripetere il messaggio dato ai margini del giuramento al Quirinale, confermando che non c’è — né ci sarà mai — l’intenzione di uscire dall’euro. Una simile dichiarazione, purché appoggiata da Di Maio e Salvini, potrebbe avere un effetto simile al discorso pronunciato da Mario Draghi nel 2012, quando disse che la Bce avrebbe fatto «tutto il necessario » per salvare l’euro, facendo scendere immediatamente i rendimenti sui titoli di Stato dei Paesi più a rischio.
L’alternativa è continuare a ignorare i segnali degli investitori, accettando passivamente la risalita della spesa per interessi. In questo caso, il nuovo governo dovrebbe però spiegare come intende fronteggiare i probabili incidenti di percorso, siano essi il fallimento di un’asta o, in extremis, l’indisponibilità da parte degli investitori a continuare a prestare soldi all’Italia. Le alternative, va detto, sono tutte estremamente dolorose: provare a forzare le banche italiane ad acquistare molti più titoli di Stato, aumentandone così la vulnerabilità; chiedere un prestito al Fondo monetario internazionale e al Fondo europeo salva- Stati, accettando però condizioni stringenti; oppure, contro tutti i proclami fin qui fatti, cominciare a stampare moneta, portando l’Italia fuori dall’euro.
La settimana prossima la Bce dovrebbe annunciare la data in cui terminerà il suo programma di acquisti di obbligazioni. Gli investitori diventeranno sempre più attenti nello scegliere a quale Paese prestare il proprio denaro. Di Maio e Salvini farebbero bene a prestare maggiore attenzione a questi dettagli. Il rischio è che quando il governo andrà a Bruxelles per chiedere di poter prendere più soldi in prestito, non ci sarà più alcun investitore disposto a concederglieli.